I morti che lo Stato non sa capire

Ci sono tutti – assassino, morti, una vittima che uccide – tranne lo Stato.

Un benzinaio ha dato fuoco (per un’ipotesi di gelosia, dice) a un clochard addormentato. Il proprietario di un ristorante ha sparato nella schiena al ladro. All’incredulo orrore per il primo fatto si mescola la spaccatura fra chi comprende l’esasperazione del ristoratore e chi ne condanna l’eccesso. L’occhio resta fisso sui fotogrammi dei fatti, ma questi sono la coda di un film  lungo e cupo.

Il ristoratore – già vittima di incursioni – scende con il figlio per sventare una razzia annunciata dal sistema d’allarme. Il suo legale parla di colluttazione

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Ungheria, ascolta i tuoi poeti

Ungheria, svanita è la memoria? Nato da tribù migranti venute dagli Urali nel nono secolo, il Paese che si accanisce contro i profughi rilegga i versi di un suo poeta, Istvàn Vas (1910-1991).

Cerca pure tra noi una compagnia

nella quale uno, almeno uno

non abbia provato la prigione,

nel venti, nel trenta, nel quaranta

o nel cinquanta, per un motivo

o per l’altro. E’ inutile, in un casuale incontro

attorno a una bottiglia di vino,

a un tavolo di una trattoria di campagna,

in qualunque seduta fortuita di lavoro

di qualsiasi ufficio,

o quando si festeggia la casa nuova,

dappertutto troverai qualcuno

che può dire o tacere com’era dietro le sbarre

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