“La tregua”di Primo Levi e il veleno di oggi

E’ difficile scovare le sorgenti del veleno razzista che percorre come un sistema venoso la società. Talora è l’arte a indicarle in poche battute. Ieri sera La7 ha mandato in onda La tregua, film del 1997 di Francesco Rosi tratto dal libro di Primo Levi (del 1963) che racconta il ritorno dal lager.

Durante il cammino Ferrari (Claudio Bisio) chiede a Levi (John Turturro) del suo passato, delle ragioni che l’hanno condotto ad Auschwitz. Poi racconta di sé: ladro di professione, detenuto, ha accettato l’offerta di esser liberato se disposto ad andare a lavorare in Germania. E lì s’è trovato recluso molto peggio di prima.

Nel commiserare se stesso (“Perché

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Lo Stato a scuola dalla ‘ndrangheta

Uno Stato che con un mezzo militare “pesca” uomini in mare e prospetta l’ipotesi di riconsegnarli ai carcerieri compie su vasta scala un crimine che evoca un altro crimine, a lungo subito dall’Italia: il fenomeno dei sequestri di persona ad opera della ‘ndrangheta.

Negli Anni ’70 e ’80 del secolo scorso la ‘ndrangheta finanziò le proprie attività con i riscatti dei rapimenti. Uno dei tanti ostaggi raccontò alla Squadra Mobile di essere riuscito una volta a fuggire. I custodi nemmeno lo inseguirono, soltanto gli gridarono dietro: “Corri corri e qui torni”. Arrivato a un grappolo di case il fuggiasco spiegò chi era e chiese

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