Liberaci dal male, liberaci dal padre

Suscitano pena, nella cronaca d’un quotidiano, i passi dell’uomo un tempo fiero di sé che una notte, ormai smarrito nella demenza, scende al fiume e gli consegna la sua morte. In quella solitudine annegano i suoi giorni di imprenditore – il “re del cioccolato” –  due volte marito, padre, viveur dai piaceri intensi e sprezzanti.

In questa morte – confusione mentale o forse suicidio o perfino omicidio? – sono raggrumate le vite e i tormenti, le catene e il bisogno di libertà, l’ira e la rivalsa di parenti, domestica, badante e poi sbandate figure di città, volenti o no ancorate ai suoi vizi noti o sconosciuti.

Ci sono la corsa scellerata

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Fabrizio De André e i vincitori di domani

Fabrizio De André faticava ogni volta ad affrontare il palco: per timidezza, ma soprattutto per il timore di non offrire quanto il pubblico si aspettava. Poi, davanti al leggio, si offriva con generosità infinita. Dopo la serata, stanco e sorridente, accoglieva chi riusciva a conquistare i camerini, ascoltava, rispondeva, domandava. Spiegò: “Mi sembra di aver dato poco con un concerto, di non aver dato abbastanza, e allora trovo giusto rispondere a una loro domanda, avere le loro opinioni”.

Vent’anni dopo la sua morte continuiamo a fargli domande, a chiedergli riferimenti spirituali, politici, sociali, letterari o dettagli di un’ispirazione, un suono, un

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