Assuefatti allo spettacolo del delitto in tv e sui giornali, dovremmo tutti – chi la cronaca scrive, chi la commenta e chi con essa pasteggia – rileggere Giorgio Scerbanenco.
Indotti a perdere ogni traccia d’umanità davanti alle grandi tragedie come fame e migrazioni, nemmeno avvertiamo più emozioni e grida spente da un delitto di città o di provincia. Ci nutriamo di dettagli, giochiamo ai pubblici ministeri, ai difensori, ai giudici, ascoltiamo e discutiamo opinioni di “esperti” che sanno quel che sappiamo noi o poco più, seguiamo i processi come fiction o spettacoli teatrali (“voce!”, gridò uno dal pubblico durante l’Appello per