Cane adorato, muori con me

“Quando sarò prossimo alla morte, fai un’iniezione al mio cane, perché non rimanga a soffrire sulla mia tomba”. Nelle disposizioni lasciate dall’ottantaduenne Alain Delon al veterinario bruciano pietà ed egoismo, solitudine e paura.

Da tempo discutiamo con dolore, cinismo, amore del fine vita delle persone, cercando regole e limiti, sempre dibattendo della volontà espressa da chi, in condizioni intollerabili, chiede d’andarsene. Quando invece, come per il cane, siamo noi a decidere, la parola eutanasia porta in sé qualcosa di scontato, un cupo automatismo che trascura una domanda: siamo certi, giacché lui non si esprime, di aver sfogliato con dedizione

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Ircc Candiolo. E tutto il mondo fuori

Un quarto d’ora in una sala d’aspetto a Candiolo. Un quarto d’ora davanti a una porta nell’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro, dove si va a misurare la minaccia, l’esistenza, la pericolosità d’un nemico. E, proprio lì, dove tanti immaginano passaggi soltanto di malinconia e tristezza, in un quarto d’ora ti rinfreschi anche dalla palude di schifo e pessimismo per una società che pare, lei sì, inguaribile d’una malattia morale degenrativa.

Breve cronaca di una mattina dentro e fuori Candiolo. Le rassegne stampa – non per loro colpa – riversano una becera campagna elettorale, baby gang, memoria della tragedia evitabile

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