Dal revenge porn al revenge hor,n, dalla vendetta attuata diffondendo immagini intime dell’ex amata a quella compiuta mostrando a tutti le proprie corna. Ma non è la desolante festa delle rivelazioni sulla collina torinese a far riflettere, quella rimane un privato foruncolo inciso tra musiche e cocktail. Specchio della società è invece l’inarrestabile, confusionaria, voyeuristica alluvione di commenti, dai giornali ai social, dalla tv agli “esperti” di legge, psiche, cuore, bon ton.
Arrendiamoci al fatto che , in quest’epoca di estrema solitudine interiore e feroce individualismo, per reazione si condivide tutto, dalla vacanza esotica alla pipì contro un muro, dal successo sul lavoro a un attacco di stipsi, più nota come stitichezza.: la carta d’identità certifica chi sono, un post sui social con annessi like e insulti certifica che esisto davvero.. Era evidente che il filmato della sera di “revenge horn” finissse ovunque, perchè la volgarità filtra come il fumo in ogni fessura e invade le vite.
Il pettegolezzo d’un tempo – “sai che la tale tradisce …” – era il passaggio sottovoce, a un tavolino di bar, d’un segreto piccante, svelato con aria da carbonari, con la meschina e infantile gioia di essere uno dei pochi a conoscerlo e l’orgoglio di aver saputo “da persona affidabile”. Quel clima ricopriva e impreziosiva il miserello gioco come lo zucchero a velo ricopre un dolce. Oggi, quando tutto è sguaiato, divampano letture psicanalitiche e giudizi morali, con un sorprendente coro di voci convinte di riconoscere nella balzana festa “un certo stile” e soprattutto un “perfetto stile torinese”.
La vicenda sentimental-erotica si appisoli pure nel verde giardino come una gag mal riuscita di Zelig o Colorado, ma questa faccenda dello stile sabaudo stuzzica i torinesi con un po’ di senno a una querela per diffamazione contro chi lo afferma. E’ come dire che è tipico dei torinesi invitare all’inaugurazione di un ristorante e proporre agli ospiti un gioco: vince chi senza alzarsi riesce a sputare nei piatti dei tavoli vicini. O invitare a un battesimo e anziché confetti o dolcini infilare nella bomboniera “la prima cacchina” del piccolo.
Che c’entra la sobrietà piemontese? Si citano perfino Fruttero e Lucentini, ma in comune con le loro pagine c’è soltanto la villa in collina, non chi si muove dentro, intorno e lontano. Qui più che a Torino par di essere nella Roma papalina dove il Marchese del Grillo sbaglia passo e diventa lui stesso zimbello dello scherzo che ha messo in piedi. Non è altro che la versione soft della scena di Marcello Mastroianni che entra in pizzeria con Monica Vitti e ,al momento di ordinare ,dà quel che ritiene che meritino a lei e al pizzaiolo Giancarlo Giannini (Dramma della gelosia, 1970, regia di Ettore Scola).
Forse proprio dal cinema romano è stata presa l’idea. Si festeggia il venticinquesimo anniversario di nozze del ricco manager Achille De Bellis (Carlo Verdone) con Gigliola Duranti (Agnese Nano). D’improvviso sale sul palco dell’orchestra Orfeo (Silvio Muccino), vendicativo figlio di una cameriera licenziata da Achille, e mostra a tutti le foto dei tradimenti del manager (Il mio miglior nemico, 2006, regia di Verdone).
Anziché dibattere se la festa è o non è notizia (lo è purtroppo nel momento stesso in cui quotidiani e tv sono diventati appendici dei social), anziché indagare se esiste un improbabile stile e se tale stile può essere quello torinese, chiediamoci quanto sia stile la chiacchiera vuota che , sulle orme di Martin Heidegger, Nicola Abbagnano distingueva dalla conversazione che arricchisce e chiarisce idee.
E lasciamo tranquilli i torinesi, che invece si rispecchiano in una canzone di Gipo Farassino, ij bogianen, torinesi che iquel genio dipingeva ventenni a un ballo dove trovar fidanzata e poi moglie, quarantenni fieri del matrimonio, della famiglia, del lavoro, sessantenni in chiesa a pregare per prevenir malanni, ottantenni che chiudono gli occhi e si fanno sotterrare senza proteste perché a quell’età è giusto morire, trovare un angolo di Paradiso e incontrare i vecchi amici. Sempre, a venti, quaranta, sessanta, ottant’anni “sensa disturbé, / con col tant d’educassion / come a veul la tradission, / come a veulo anche ij parent /pr’ ‘l decoro vers la gent / sempre pronta a critiché” (*)
(* Senza disturbare / con quel tanto di educazione / come vuol la tradizione / come vogliono anche i parenti / per il decoro verso la gente / sempre pronta a criticare.)