Covid 3. Terza puntata del diario di Giacomo Romagnolo, alessandrino, prossimo ai 19 anni, studente di Giurisprudenza alla Cattolica. Nella prossima l’ultima, dopo l’ultima pagina di appunti, le considerazioni sulla propria vicenda, su quella generale, su come appare la società dopo un anno e mezzo di pandemia.
Nono giorno. Vi siete mai sentiti brutti, ma brutti proprio? E’ una sensazione tristissima.. Provatela una volta e non sarete più in grado di sorridere di altri. Un’amica che non sa come far benzina all’automatico mi cerca in videochiamata. So di essere inguardabile, se passo davanti allo specchio mi spavento. Allora mi incappuccio con una vecchia felpa della scuola mai usata e con la maschera di Dalì comprata a Barcellona nel periodo d’oro della Casa di Carta. Più che un soccorritore sembro un rapinatore via telefono.
Decimo giorno. Fuori è zona rossa, io mi sento come la ragazza del meme che sghignazza: “E allora? Io sono in zona fucsia da dieci giorni”. Se non altro sto meglio, è rimasta soltanto un po’ di tosse, ma non mi illudo sul tampone che si avvicina: ho chiesto agli amici passati per il Covid e nessuno è risultato positivo al primo controllo.
Problemi di connessione internet, ho perso parecchie lezioni. Dormo di pomeriggio e ho sonno la sera alle 22 (in genere non vado a dormire prima di mezzanotte e mezza). La sintesi di come mi sento è in una telefonata con un amico magrissimo: “Se mi sfiori con il mignolo cado a terra”. Ho mal di testa, ma non è il Covid: sono le ore allo schermo – del computer e del telefono – e quelle sui libri. Ed è quella luce che mi manca da dieci giorni: la luce del sole addosso all’aria aperta.
Undicesimo giorno. Vuoto assoluto, niente da annotare. O forse è proprio il vuoto che andrebbe annotato. Tiziano Sclavi – sì, lui, il creatore di Dylan Dog – con geniale concretezza intitolò un romanzo Non è successo niente. Domani scriverò soltanto: tampone fatto, non è cambierà niente.
Ripercorro le storie di Instagram e avverto il tempo mutato. Un anno fa, contro la monotonia immobile del lockdown facevamo le challenge. Ora non c’è nemmeno la forza per questo, come se ci fossimo abituati all’idea che la situazione che stiamo vivendo sia qualcosa di normale, benché novità e cambiamenti (di rado in positivo) sembrino aver mutato tanti di noi nel profondo, nella sostanza.
Dodicesimo giorno. “Per grazia di Dio e volontà della Nazione” 160 anni fa prendeva vita lo Stato Italia. Può apparire un’associazione eccessiva (ho avuto un nonno granatiere e mi ha trasmesso interesse per la Storia), ma se Dio volesse anche far risultare me oggi negativo al tampone non mi offenderei. Forse chiedo troppo: possenti colpi di tosse rendono lo sconforto più forte dell’ottimismo.
Tredicesimo giorno. Sfido la “bruttezza” e mando una foto a mia cugina. Con questa barba bionda non curata sembro un vichingo del ‘300. E’ la faccia del mio stato d’animo. So benissimo che un tampone positivo non sarebbe un disastro, soltanto un prolungamento della prigionia, eppure lo aspetto con la stessa ansia della sera prima dell’esame di maturità, dove – per tornare alle proporzioni della vita reale e normale – ti giocavi in pochi giorni ma un anno di ritardo su tutta la vita.
Giacomo Romagnolo (3. continua con ultima puntata)