Liberazione, 25 aprile: gocce di futuro

Liberazione, 25 aprile. Quella che celebriamo come pagina fondamentale del nostro passato, è  anche e soprattutto prima pagina del libro nostro futuro. E se i testi di Storia ci guidano a comprendere, le voci dei singoli ci portano a rivivere
Io c’ero (Araba Fenice editori) è il titolo di un libro semplice e potente nel quale Laura Nosenzo (giornalista e scrittrice) e Loredana Dova (insegnante e anche lei scrittrice) hanno raccolto ricordi di quel giorno , 51 voci dell’Astigiano, dell’Alta Langa, echi dalle aree torinesi. Avendo io scritto la prefazione, sarebbe  un gioco delle tre carte se quella pagina ora la rivestissi con i panni della recensione. Ne ripropongo direttamente qualche brano, sperando di spingere lettori tra i racconti non di una Memoria per dovere ma di vite segnate. E a riviverli come se anche noi ci fossimo trovati quel giorno a passar per le stesse strade.

Fuoco d’artiglieria in collina o una notte d’amore nelle vigne, binari della deportazione o un passo di bambino che cala cibo ai partigiani nel pozzo, una “bella mitragliatrice” piazzata su un sidecar o una pergamena custodita come vampa di vita.

Io c’ero non è un nuovo album di ricordi della Resistenza e della Liberazione, è il diffondersi di loro frammenti che penetrano – concreti e umili – nelle nostre esistenze. Il capo d’una brigata di banditi non riordina qui per i posteri le sue gesta eroiche, bensì le emozioni, la fame, la tenacia e la pietà, il pensiero della famiglia e la veglia nella notte in agguato. E dal nemico nazista e fascista si spargono la ferocia, la cecità e insieme l’ingolfarsi delle certezze, fino a restituire ciò che a lui è stato concesso, vivere ancora.

Scriveva Marcel Proust nel 1923: “Nella nostra memoria noi troviamo di tutto: essa è una specie di farmacia, di laboratorio chimico dove mettiamo le mani a caso ora su una droga calmante, ora su un pericoloso veleno”. Nella colossale farmacia che è la Storia Laura Nosenzo e Loredana Dova non hanno infilato le mani a caso, ma sapendo bene quali ampolle avrebbero aperto, lasciando lo stupore al contenuto.

Cercando persone e le loro voci hanno raccolto tempi lunghi e lampi, episodi clamorosi ed episodi minimi, teneri alcuni e altri spietati, tutti senza addobbi e interpretazioni. Non hanno inseguito l’insostituibile studio di storici e interpreti di documenti, hanno colto intimità, solitarie nel rifugio d’una stalla, collettive in un treno per Mauthausen, festose a un ballo di paese e d’improvviso lugubri quando irrompono le Camicie Nere.

Ogni ricordo personale di quei giorni e di quegli anni è sempre un richiamo per affondare la mente nella Storia. Nosenzo e Dova ci guidano ad affondarci il cuore. Sfila in Asti il corteo di partigiani, salgono bambini eccitati a guardarli dall’alto della Torre Littoria, fuggono terrorizzati quando dalla parata la bersagliano con raffiche di mitra. Uno di quei bambini racconta, perché c’era anche lui. Di parola in parola, di frase in frase, noi lettori siamo entrati in piazza con gli eroi, ora stiamo scappando di piano in piano tra la polvere e la paura. (…)

Perché queste cinquantuno storie “parlassero” era necessario che fosse chi le ha vissute a dare il tempo alla partitura. E le autrici, con virtù insieme giornalistica e letteraria, lasciano che il linguaggio di ciascuno, quello più accurato e quello più pressante, porgano i profumi della terra e della polvere da sparo, il pulsare d’un cuore in ansia e il battito di quello innamorato, con la loro naturalezza, tenera, rassegnata o impietosa che sia: “Certo che me lo ricordo l’ultimo colpo che ho sparato. Era una notte di luna piena. Ho ucciso un cecchino che ha cercato di farmi la pelle”. (…)

Io c’ero. Leggendo, vien da rispondere: “Lo so. Ti ho conosciuto”: