Prigioni appaiono spesso le malattie a chi le soffre, a chi le assiste, a chi le osserva. A maggior ragione contorni di prigioni assumono quando colpiscono il sistema neurologico e bloccano, minano, rallentano la libertà del corpo. Allora può essere l’altra libertà, quella del pensiero, della fantasia, dello sguardo a dissolvere le pareti e restituire il vento al malato e il malato al vento.
Prigione tanti hanno sentito, anche in ottima salute, durante il lockdown da Covid-19, e tanti ne temono un ritorno. Calzante – e rassicurante – per le nostre ansie, con il titolo A che ora passa il treno per la guarigione, arriva questo <diario di una quarantena>, bozzetti improvvisi, lampi di riflessioni, squarci su solitudini, guizzi di condivisione che tra il 2011 e il 2015 scrisse sulla Stampa Noria Nalli, giornalista, dal 1996 colpita da sclerosi multipla, autrice di La stampella di Cenerentola (Omega) e Avventure semiserie delle mie gambe (Golem), creatrice del sito Sclerotica.it
Noria Nalli affronta senza inganni o zuccherini il mondo della sofferenza, della sclerosi, dei ricoveri in neurologia o negli istituti riabilitavi, lascia che l’ironia percorra un passaggio ma non la impone come una maschera quando dietro la curva è in attesa lo scoramento. Eppure è quel suo modo di cogliere – un sorriso, un gesto, una titubanza, uno slancio, un timore, un abito, una finestra, un letto, una barella – a soffiar qualcosa di magico, a scardinare un dolore dalle sue ancore e dai suoi muri e a farlo volare come un grande aquilone che con altri s’incrocia.
Se un paziente s’immagina un ferito in un duello, che volo prenderanno le sue reazioni? E dov’è il mantello dell’elegante quarantenne che studia gli altri e li fissa in versi, Proust di corsia? L’anziana che assomiglia a Clara Calamai fa rivivere alla più giovane uno scorcio di notti di guerra con il solo aiuto del buio oltre la finestra, poi restituisce l’oggi lanciando caramelle alla menta. In brevi ritratti fiammeggiano il tifo di un reparto per il faticoso tentativo di bacio tra una madre e un figlio, due pazienti ribelli divengono le <regine dell’ascensore>, la voce di Modugno sgretola pareti di reparto, una telefonata dal Museo del Cinema traghetta una degente dentro le pellicole. E se la nostalgia di tante condivisioni può affacciarsi nell’improvvisa solitudine di qualche ora a casa, c’è lì di fronte il campanello della vicina.
La magia dei racconti, dei bozzetti sta nella capacità di Noria Nalli d’essere speleologa sotto routine e banalità del quotidiano ospedaliero, trovar gemme e lanciarle al vento, dissolvendo le pareti delle prigioni. Senza però negarle: che tempesta interiore porta una scossa di terremoto, anche lieve, quando sei sola in casa, impossibilitata a muoverti per scendere in strada?
Solitudine, empatia, partecipazione sono il dono di chi anziché prigioni guarda teatri dell’umanità. Scriveva Italo Svevo: <La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati possiamo sapere qualche cosa di noi stessi>. E degli altri, vien da aggiungere.