Sono figli invecchiati e devoti del palcoscenico, del teatro, dello spettacolo. Vivono in una casa di riposo per glorie del varietà e dell’opera, espulsi con leggerezza dalla loro “famiglia”. Fino a che su quella quiete forzata piomba un bizzarro impresario e ne scrittura alcuni per farli tornare insieme in scena.
Ultima turnè si chiamerà l’avventura e Ultima turnè è il titolo del geniale romanzo (I Antichi Editori Venezia) che la racconta con garbata ironia, realismo e psicologia venata di poesia. L’autore è Roberto Bianchin, storica firma di Repubblica, direttore editoriale della rivista culturale Il Ridotto, narratore (da Niente rumba stanotte a Acqua Grande. da Il domatore di principesse a Il padrone delle nuvole), saggista (tra gli altri Kociss, passione e morte dell’ultimo bandito veneziano), esperto di spettacolo (è stato direttore artistico del Teatro Girolamo di Milano e della Compagnia de Calza “I Antichi” di Venezia).
La casa di riposo è un rimescolìo di orgoglio e nostalgia, bizzarrìe del carattere e dell’età, solitudini e confidenze: “Agli artisti – pensa il presentatore Ricki – dovrebbe essere vietato invecchiare”. Con “l’ottimo presentatore” ci sono tutti: il “talentuoso pianista” e l’ “ardita equilibrista”, la “stupefacente donna cannone” e l’ “affascinante soubrette”, e ancora la donna barbuta, l’acrobata, i ballerini, l’indovina, il fachiro, scelti fra 84 ospiti del ricovero.
La vanità dissolve timori e perplessità iniziali. Dopo cinquantadue giorni di prove nel teatro interno alla casa di riposo, in pullmino questi figli abbandonati dalla scena tornano alla “madre”, subito con sorprese: in una sosta all’autogrill la nana Ernestina, non reclutata, salta fuori dal baule del mago Otello pronta, se non c’è posto per lei sul palco, ad esser sarta e tuttofare.
Il lettore passa anche lui, affascinato da un mondo che vede risorgere, come fosse uno di loro dalle poltrone del ricovero ai sedili in viaggio, vive la misera pensioncina che li accoglie, il retropalco d’un cadente teatro dove ci si copre di cerone, il manifesto sbagliato (ultima turnè, appunto) al quale si trova rimedio: “Faremo finta d’averlo fatto apposta”. Abiti di scena malandati, qui applausi e là un fiasco, poi un altro, paesini di montagna freddi e più calde platee quando si ripiega sul mare, spiagge, discoteche, villaggi, campeggi.
Bianchin li accompagna come un confidente, li vive in gruppo e li vive in solitudine, in dialoghi tra filosofia e ridisegno del mondo, tra sconforti e amori, un matrimonio e, a fine festa, un improvviso lutto, che diviene anche lui spettacolo con un funerale farsa sotto un tendone da circo in stile, improvviso figlio dei Clowns di Fellini. Tra gioie e scoramenti prima o poi la turnè finirà. E finirà in una domanda: e adesso? adesso che noi non siamo più gli stessi?
Un romanzo dal gusto picaresco dove attimi di gloria e interrogativi intimi sono tutt’uno col viaggio, la scena, gli oggetti, i costumi, le stanze, i pasti, Sono profonde pagine sull’età avanzata, lo spettacolo, il piacere della gloria, il senso d’esclusione e quello di speranza, come quando su un volto appare un sorriso “come un arcobaleno che taglia la notte”.