Domani sarò al Salone del Libro per presentare Ti ammazzerò stasera (Golem edizioni), romanzo sulla fabbrica dell’odio, sulla caccia a un nemico purché fragile, la prevaricazione sugli altri per illudersi di credere in se stessi.
La presenza di un editore che grida ovunque d’esser fascista è per me motivo in più per esserci e parlare di quei temi a chi avrà la pazienza di venire in Sala Avorio.
Questo Salone è stato scosso da polemiche e indignazione giunte a una doppia risposta: da una parte la scelta legittima e sofferta di disertare per non condividere l’aria con quell’editore e i suoi amici, dall’altra esserci per mantener fresca la stessa aria. Il personaggio al centro della querelle è senz’altro riuscito a trarne buona pubblicità e non è cinico temere che anche al Salone qualcuno sia attratto dalla curiosità di vedere lo stand della discordia così come a Cogne andava a vedere la villetta. Pura curiosità, certo, ma anch’essa può favorire il successo del vuoto di pensiero e dell’istinto di prevaricazione che stanno alla base della parola fascista, non attribuitagli da altri ma vantata dal neo-fascista stesso.
Questo tale è riuscito a far parlare di sé sfruttando Salone e vicepremier (che deve scegliere per sé tra essere uno sprovveduto o essere in pieno accordo con lui e Casa Pound). L’ha fatto dichiarando che il fascismo è il bene, l’antifascismo una malattia sociale. Che è come dire che l’infezione profuma e l’antibiotico avvelena. Sul fascismo malattia non si può attribuir la responsabilità a storici tutti di parte: parlano i documenti del regime che riempirono treni di ebrei destinati a camere a gas e forni crematori, che spedirono cittadini italiani quasi scalzi e quasi disarmati a farsi massacrare in Russia agli ordini di uno sprezzante alleato. E al singolo cittadino si riservavano con orgoglio il divieto di pensare e, in caso di pensiero, nel migliore dei casi un po’ d’olio di ricino.
Oggi nessuno capace di un elementare ragionamento (mi piacerebbe dir quel che penso) può dirsi nostalgico di quel regime. Dunque, essere fascisti nel 2019 non significa proporre una dura linea politica, ma ben altro: debolezza personale, paura degli altri, urgenza di branco per sentirsi al di sopra. Essere fascisti oggi è rispondere con un modello violento al proprio senso di inadeguatezza e terrore davanti a chi si sente libero. L’antifascismo allora è visto come è visto il farmaco antipsicotico dal delirante: “vogliono drogarmi e farmi del male”. Antifascismo e farmaci non hanno motivo d’esistere se non esistono malattia e degenerazione.
L’aspetto più ingenuo e infantile del neo-fascismo è l’illusione che il gruppo conferisca al singolo superpoteri come quelli dei cartoon giapponesi. E altrettanto ingenuo è voler ripetere un modello illudendosi che per sé la conclusione possa essere diversa da quella del passato, proprio come chi maltratta gli anziani nel ricovero si convince che gli inquirenti piazzino telecamere dappertutto meno che dove picchia lui.
Lo spirito antifascista è la telecamera sistemata ovunque dal più profondo bisogno dell’Uomo: la libertà del pensiero. Al Salone ci sarà quell’angolo di culto di sé, rivendicazione dell’imporre ad altri. Ma il Salone sarà un viavai di parole, idee, riflessioni, confronti e libertà.