“Signore, non ho la forza di ubbidire, di rinunciare, di stare qui con le consorelle, di fare cose che vanno oltre il buon senso”. Si può essere soffocati dall’istituzione, dalla gerarchia, senza rinnegare Dio, cercandolo altrove nel vortice di strade, dolori, speranze.
Non una vocazione in crisi, bensì l’imperfezione propria, del proprio ruolo e della sua dimora, il voler servire “in un altro modo” si liberano nel romanzo di Francesca Rosso Non più, non ancora (Golem edizioni). Chiara è una donna di 48 anni, è suora, vive in una comunità dedita alla fede e all’insegnamento, si scopre in bilico tra l’accettazione di una vita incasellata e un mondo da riesplorare appieno.
Un tema – la vita da religiosa – e un personaggio – la suora – da affrontare con penna accorta, perché facili a inciampi, luoghi comuni, scivolate ideologiche o voyeuristiche. Grandi figure della letteratura contemporanea ci hanno offerto viaggi limpidi nelle fatiche, nelle torsioni, nei dubbi delle protagoniste. Bastino tre capolavori: Lettere di una novizia di Guido Piovene, La suora giovane di Giovanni Arpino, Diario a due di Paolo Barbaro..
Francesca Rosso pone Chiara davanti al limite costituito dalla struttura, dalle regole non tanto religiose quanto schematiche, ne segue l’insofferenza crescente che non lambisce la sua visione di Dio, al quale anzi chiede di accompagnarla fuori dagli steccati, portarla in braccio dove inciampa, qualunque sia la via che imboccherà. Un cammino arduo: chiedere a Lui di guidarla nel lasciarne la “casa”.
E’ Chiara stessa, con i gesti, le riflessioni, i dubbi, a farci sentire il soffocamento e gli spostamenti progressivi verso l’alternativa libera. E’ genuina e poco ortodossa quando di fronte alla madre morente si augura che migliori o muoia per non vederne il declino. E’ un’insegnante di vita e non di nozioni o comandamenti ed è a lei, non ai genitori, che si rivolgono un allievo e un’allieva per svelare con notevole consapevolezza di coppia: “Siamo incinti”. E’ dolcemente anarchica quando in abito monacale si concede una sigaretta, quando rientra nell’istituto in tuta, quando per un’emergenza prende l’auto della struttura senza chieder permessi, quando si ribella al rimprovero. Sempre con fede inscalfibile, necessaria quando passi psicologici e concreti si faranno scelta.
Come la giovane coppia incinta aveva bisogno d’un riferimento, anche lei ne avrà bisogno uscendo “in prova” da un mondo preordinato. Sola dopo la morte della madre, si rivolge a una consorella che quella scelta ha portato a compimento, si è sposata e vive in Brasile. Chiara la raggiunge in un viaggio dove si porta dentro Dio stesso e si porta appresso la memoria fresca della vita scandita nei tempi e nelle regole, trova il gusto di apparenti banalità frivole come un costume da bagno o un cocktail e il confronto con lo slancio amoroso e quello sensuale. Ma non può essere un balzo né un colpo di spugna: proprio la fede radicata, insieme alla terrena esperienza, le farà attraversare un Brasile di spiagge felici e ragazzi di strada, cene esotiche e baby prostitute, ville di lusso e Amazzonia martoriata. Sgretolata una sofferta certezza, ora è il mondo spalancato a chiederle conto di ciò che è e di ciò che prova.