Sosteneva Galeno nel secondo secolo dopo Cristo: “Chi è un vero medico è sempre anche filosofo”. Nell’individualismo ambizioso della società di oggi ci restituisce quello straordinario matrimonio di saperi Davide Schiffer, scienziato alla soglia dei 90 anni.
Docente universitario a Torino (con determinanti esperienze all’estero), figura nota tra i colleghi ma anche nel vasto mondo dei malati, Schiffer racconta Mezzo secolo di Neuroscienze (Golem edizioni) con un sottotitolo, La verità che non c’è, che proprio con lo spirito del filosofo esamina certezze dal corso limitato in una continua evoluzione.
Di famiglia ebrea, sfuggito ai rastrellamenti e partigiano con i fratelli, il padre morto ad Auschwitz, Schiffer intreccia per oltre trecento pagine i ricordi personali – dal primo ingresso all’Università fino a oggi – e la storia del mondo accademico, la storia sociale e politica (il ’68, la legge Basaglia, le riforme dell’insegnamento e delle strutture) e le ricadute positive o negative su preparazione, passione, carrierismo, assistenza, ricerca (cardine questa fondamentale della sua vita).
Schietto, ironico, pacato sempre, Davide Schiffer è un narratore spontaneo ma accorto, divertito e sapiente. Il Mezzo secolo di Neuroscienze è un susseguirsi di esperimenti e cure amalgamate con musica classica, pittura, cultura umanistica, personaggi di spicco e altri più scalpitanti che illustri, come i “medici tre M”, quelli che miravano soltanto (rivisitazione d’una parodia dei mussoliniani “figli della lupa”) a “Mutua, Moglie, Macchina”.
Lo studioso narra l’evoluzione della neurologia e della psichiatria, le guardie notturne e gli stanzini all’inizio striminziti per la ricerca, gli alloggi di fortuna e i compagni di avventura verso il futuro, i pregiudizi stranieri verso gli italiani e la pigrizia italiana di chi amministra il lavoro e non ha slancio né orgoglio per diffonderlo all’estero, il confronto con l’Est, i giochi per la conquista delle cattedre, corse al successo e finali solitudini, l’avvento delle “aziende sanitarie”, gli imbonitori di miracoli, la sperimentazione animale, i quesiti morali intorno all’evolversi degli interventi sulle anomalie psico-fisiche.
In queste pagine si fa nitido quanto molti medici hanno vissuto attraverso il loro camice, talora senza decifrare dettagli, e noi abbiamo visto scorrerci intorno, addosso, dentro stando sotto un lenzuolo di corsia. In un Paese affetto da grave tendenza all’oblio, Schiffer ci porge la sua lente. Dalla tragedia razziale paterna alla frequentazione con la morte nelle stanze dove la Medicina poco ha potuto, lo scienziato ci indica la vita con il disincanto puro di chi ha un passo diverso da quello della società malata di sé e di egoismo.