Bolaffi? Per caso è parente di “quello dei francobolli?”. Una monotona domanda ha battuto il tempo a una vita, accendendo il sorriso e, insieme, una diffidenza antica, con le radici nelle leggi razziali e nel nazismo.
Agiatezza di borghesia ebraica, infanzia da preda nascosta, mondo della filatelia e dell’arte, cavalcate e gare di sci, nonne, balie, insegnanti, zie, guardiani della morigeratezza, fascismo, nazismo, lotta partigiana, affari e generosità sono Il mio romanzo familiare di Stella Bolaffi Benuzzi (Golem edizioni, prefazione di Aldo Cazzullo).
Più che un affresco un mosaico che – variopinto, commosso, sempre guizzante d’ironia – percorre un secolo, quattro generazioni narrate con disincanto, senza censure né celebrazioni, con la curiosità di chi apre un vecchio baule, affonda le mani, estrae frammenti di passato, importanti momenti e piccoli aneddoti e lascia che siano loro a evocare echi e rimandi.
D’essere figlia di “quello dei francobolli” Stella Bolaffi lo scopre bambina, in un elegante palazzo di via Della Rocca a Torino. Un giorno vede un lenzuolo steso in sala, coperto di quadratini dentati: sono messi lì ad asciugare dopo che la valigetta che li conteneva è finita nel Naviglio Grande di Milano con l’auto e il suo guidatore, per un’incauta manovra di Giulio, suo padre, sulla strada battuta dalla pioggia.
Stella Bolaffi Benuzzi non ha riordinato i ricordi seguendo un criterio cronologico. Li ha per grandi linee divisi tra le donne, i cavallier, l’arme, gli amori (cavallier con due elle ariostesche) e poi, da psicoanalista, ha lasciato che ciascuno fosse calamita per altri. L’altalena della vita già si affaccia con il nonno Alberto, corteggiatore respinto e cacciato dai futuri suoceri, ma accolto quando diviene il filatelico di Casa Savoia. Vanno in scena i matrimoni misti (ebrei e cattolici), l’alternarsi tra borghesia cittadina e vita di provincia ad Acqui Terme, gli studi e lo sport, il senso d’abbandono (la madre morta a 35 anni, quando Stella ne aveva 9 e 7 il fratello Alberto, il padre partigiano), le leggi razziali e i mesi clandestini, cacciatori con la Bonarda nella borraccia e lepri risparmiate, pescatori, montanari, figure dell’impresa e della cultura, Adriano Olivetti e gli Agnelli, Laura Betti e un Pier Paolo Pasolini che, con gli occhiali scuri anche la notte, brucia i semafori torinesi.
Il tempo si fa liquido, ci si immerge vagando, s’insegue una vacanza da adulti e ci si imbatte in una memoria di scuola o in un flirt adolescenziale, ci si affaccia al fiume Bormida e si sentono le fucilate che una nonna spara “ai ladri” mettendo in fuga una coppietta. Si sorride, perché è ovunque un’ironia insieme fanciullesca e sapiente, scanzonata e rispettosa, che della sincerità non fa vanto ma modo di vivere: la reciproca antipatia tra lei e una nonna, lo zio che “purtroppo” (per il carattere spigoloso) va a vivere a casa loro, una cena in onore di benefattori all’Ambasciata d’Israele a Roma. dove Stella e suo padre Giulio sono a tavola con De Chirico e signora avvertendo una stranezza dell’incontro: “A lui non interessavano i francobolli, a me non piacevano i suoi quadri”.
Un filo doloroso e costante, fatto di episodi e riflessioni, corre per tutto il libro: la stella gialla. Le prime restrizioni, le leggi razziali, la fuga e il rifugio in val di Lanzo, dalla villa alla baita, col padre lontano perché col nome di Aldo Laghi è divenuto capo di una formazione partigiana, la IV Divisione Giustizia e Libertà, chiamata Stellina, nome che è istintivo riferire alla giovane Bolaffi e che lei racconta esser venuto da una pecora con una macchia sul muso.
La Storia è indelebile nell’intimo: se il dramma era ovattato dai giochi in libertà con i figli della montagna, il senso di ciò che è stato appare il giorno della Liberazione, quando il padre, mitraglietta a tracolla, rivoltella e bomba a mano alla cintura, guida la colonna dei suoi uomini in paese, la vede e così armato corre ad abbracciare la figlia. E’ indelebile nella quotidianità sociale: si riaffaccia oscura quando già sposata, con il cognome del marito, Benuzzi, la signora si sente “smascherata” dalla freddezza del codice fiscale.
L’impiegata dell’azienda che diviene staffetta della famiglia, valligiani altruisti, carabinieri e religiosi eroi della Resistenza, poi, più avanti, giorni di felicità e giorni di malattia, amicizie e il lavoro al Tribunale per i Minorenni intrecciano la disinvoltura di una vita agiata con la naturalezza di una vita braccata. Con un monito senza fine: le genti guidate dall’odio non potranno mai essere un popolo libero.