Non giudichiamo manovra e altri provvedimenti del governo con occhio di parte o pregiudizio. Non giudichiamoli per niente. Soltanto leggiamo il messaggio che li accompagna o sostituisce, che entra nel quotidiano di tutti: odio e vendetta.
La Lega fondò buona parte del suo consenso sul disprezzo per i meridionali sfaticati e puzzolenti. Poi i meridionali servivano e allora spostò il mirino sui migranti del mondo (non tutti, i cinesi non esistono), facendo leva sull’esasperazione di chi vede uomini ciondolare, furti, spaccio di droga (a consumatori italiani) e donne che si vendono (a voglie italiane), soldi spesi per l’accoglienza o per la detenzione. Sostiene di combattere i trafficanti di uomini e di sostanze, di contrastare il crimine e lo sfruttamento. Come lo fa?
A parte episodi finiti in retromarcia oppure tenuti nascosti (il caso Diciotti, lo sgombero di Riace trasformato in “volontario”, sbarchi sparsi e silenziosi che proseguono, arrivi via terra, “restituzioni” sui voli di linea dalla Germania, Tunisia che impone il limite ai gridati rimpatrii), amministrazioni locali e governo si accaniscono contro famiglie che mandano i figlia scuola, contro bambini da tagliar fuori dalla mensa o dai testi sui quali studiare (imparando lingua, convivenza, cultura, tradizione d’Italia), contro i negozi etnici (se la legge è uguale per tutti, addio sushi da asporto dopo la discoteca), contro l’accoglienza che ha ridato vita a Riace (non certo con rapinatori e stupratori). Colpiscono l’immigrazione che molesta sotto casa o colpiscono l’integrazione e i tentativi di realizzarla e togliere quelle ombre dai marciapiedi? Un eletto leghista ha avuto l’incoscienza di dirlo: l’immigrazione dissolve la nostra identità. La sua, non la mia: lui, non io, ammette con una terribile gaffe di non sentire una identità italiana forte.
Questa “eroica” azione (come picchiare la vittima dei bulli per punirne la pacatezza) non disturba mafie, corrotti italiani che addentano i 35 euro. Punisce il rispetto delle regole, della civiltà che ti accoglie, bastona persino la riconoscenza. Allora perché si fa? Perché “appare”, perché semina, fra chi non capisce la presa in giro, odio indiscriminato e insieme lo soddisfa, fornisce esempi di forza, scatena applausi viscerali, lasciando intatti problemi e distorsioni del fenomeno. Chi applaude contento l’umiliazione di quei bambini (come gli amici filmano il gruppo di bulli) domattina sarà bastonato allo stesso modo di ieri dal clandestino violento.
In perenne competizione di “grida” in Rete, il Movimento 5 Stelle lascia all’alleato-nemico l’appannaggio dell’odio fine a se stesso e fine al potere e si affida alla coltivazione del senso di vendetta: contro chi ha studiato, contro chi ha competenza, chi ha risparmi, una pensione medio-alta, contro chi si è comprato un piccolo alloggio e domani scaricherà meno interessi del mutuo e meno spese sanitarie, contro chi dissente, contro chi svela magagne, contro chi, oltre al diritto di critica, esercita il dovere di informare. Senza rendersi conto che, auspicando la chiusura di giornali, invoca – il Governo! – la disoccupazione per operai delle cartiere, delle rotative, autisti, edicolanti. Abitua all’abolizione di chi ci disturba, insegna ai figli a buttare nel cesso i consigli dei genitori, di fratelli e sorelle, inseganti, amici più maturi e riflessivi.
L’abitudine all’urlo e al rancore è diventata – oltre che mezzo per solleticare ire e avere consenso – una malattia cronica e contagiosa. Non si è in grado di sostenere il peso di tutte le promesse? E’ colpa della Ragioneria, dell’Europa, dei Mercati, di Soros, dei Poteri Forti (espressione che urla la debolezza del proprio), di chi ha governato prima, della stampa. Il “me ne frego” ripetuto fino alla noia da un vicepremier dall’individualismo psicologicamente inquietante non è tanto una reminiscenza fascista quanto un “non voglio e non sono capace di ascoltare e capire osservazioni, farne tesoro per far meglio il bene di altri che a me si sono affidati. Si sono affidati e faccio come mi pare, comando io”. Chi si eccita e applaude il “me ne frego” non è popolo, è suddito, e domani “me ne frego” varrà anche per il suo dito timidamente alzato in una richiesta
Il caso più rozzo di odio e vendetta è quello della scorta a Roberto Saviano. Si può rispondere a un’affermazione con una denuncia, non minacciando indirettamente di delegare il silenzio (eterno) ad altri che invece si dovrebbero perseguire. Lo scrittore può piacere o non piacere, essere simpatico o antipatico, ma una cosa la camorra (più intelligente, ahimè, dei politici) ha capito e proprio perché ha capito odia con ferocia: Saviano non ha messo in discussione il potere criminale svelando ignoti orrori, ha fatto di peggio, usando la narrativa ha portato gli orrori nelle case di chi non leggeva commenti, trattati di sociologia o criminologia, ha posato nelle case di chi fino a quel giorno era indifferente la lima per prendere consapevolezza e vomitare su un Grande Crimine. Ha fatto più la potenza letteraria di un decreto. Per quegli effetti lo odia la camorra. La politica sbandata e incolta lo odia per le critiche, ma anche per la capacità di penetrazione e per invidia del successo, il suo successo è “pericoloso”.
Questo governo può aver torto o ragione su ogni singola decisione. Ha soltanto torto nel drogare l’allarme, nell’incendiare in ogni animo – per ossessiva voglia di potere – la reazione selvaggia: la gente atterrita odia, è vero, ma nell’eccesso di terrore e odio vive molto peggio di come vivrebbe in un clima reale. Anziché illustrare una realtà e raccontare i suoi correttivi, i Palazzi amplificano i disagi che non sanno o non vogliono sanare, rinviando la soluzione e contando i sondaggi, il trionfo personale, figlio non di soddisfazione ma di un crescendo d’ansie . E, per tener desta l’attenzione, rimarca involontariamente la portata di ciò che non sa risolvere: fra qualche mese forse dirà che i poveri sono dieci milioni, senza capire – e molti elettori, invasati dagli slogan, non lo capirebbero – che sarebbe addossarsi una colpa. Nella prefazione ai volumi dedicati agli uomini che dal Settecento al Novecento fecero l’Italia scriveva Giovanni Spadolini: “Il dovere dei politici è di inalveare la protesta, non di accarezzarla o di servirsene”.
Oggi la si accarezza, la si fomenta, la si rende sempre più irrazionale, disgregando il Paese. Guardate in Rete: i “buoni”, i tolleranti, i nemici del razzismo hanno cominciato a mutuarne il linguaggio: “pezzi di merda”, “meriti di morire”. L’odio è come il fumo, “penetra in ogni fessura”. Si fa una politica di post e tweet dimenticando che sui social ci sono parole e urla, ma la fame, la solitudine, il pianto, la disperazione, il sangue stanno in strada, nella vita reale e non in quella virtuale. Chi gode a vedere i bimbi stranieri allontanati dalla mensa sappia che non sarà aggredito in un parcheggio o a un semaforo da loro, ma da concittadini come lui sempre più legittimati all’odio, pronti a scaricarlo su chiunque, nero o bianco, uomo o donna.