Cara Noria Nalli,
volevo scrivere una recensione e mi è uscita spontanea una pubblica lettera, cresciuta mentre leggevo (con forte e colpevole ritardo) le Avventure semiserie delle mie gambe (Golem edizioni) con cui ci accompagni, senza sconti ma con delicatezza, nella realtà della sclerosi multipla.
In tanti modi si può narrare una malattia grave e invalidante: compiangendosi, volendo commuovere, aggredendola con ira, sfidandola con un sarcasmo esorcizzante. Ma così nemmeno la si scalfisce, piuttosto la si cristallizza. Invece tu ne argini l’invadenza, in modo profondo e lieve, con la forza e la serenità dello specchiar se stessi nel prima e nel presente. in lontani sogni e disillusioni, momenti cupi, scoperta di limiti, battaglie vinte, paura, consapevolezza di sé e degli affetti che condividono un affanno.
Per far questo, cara Noria, si deve aver dentro e aver affinato una grande onestà con se stessi (pregio tuo e forse anche dono di tuo padre, lui a rincorrere il male con le Volanti, io a rincorrere lui e le Volanti come cronista). Questa onestà ci fai condividere nel libro, con coscienza acuta e ironia. Riferendosi a un tuo desiderio di bambina, ti scrive Carla Fracci nella prefazione: “Non sei diventata ballerina classica, ma sei diventata un’eroina romantica”. Tuo merito è di esserlo diventata non per ambizione ma tuo malgrado.
La memoria che leggiamo in queste pagine è affollata di passi, scatti, attività fisica, sempre senza rimpianto, anzi autoironica per incertezze e batoste. Sono infanzia e adolescenza, dalla bicicletta con le rotelle alla ginnastica ritmica, dal salto in alto alla Stratorino, dalle gite scolastiche alle lezioni di tennis affrontate con tale impeto da centrare il viso dell’istruttore con un tiro implacabile. Ed è la scuola di giornalismo, l’inizio del lavoro in radio: le interviste sono sì parole, ma prima, per raggiungerle, ci sono i passi del corpo. E noi, leggendo, già sappiamo che quel gran muoversi delle gambe ci sta conducendo a quel che irromperà sul cammino: Sclerosi Multipla.
La Sclerosi irrompe eppure, Noria cara, il tuo racconto è continuo movimento, magari faticoso, incerto, perfino bislacco, fra stampelle, carrozzelle, deambulatori, con qualche caduta che strappa e porta con sé le decorazioni di una festa. Fisioterapia, cascate di cortisone in flebo, ricoveri, visite non sono però al di là di un confine, non sono un mondo nuovo, sono la stessa vita (e la stessa potenza) della palla da tennis sul volto dell’istruttore.
Tu non ti inganni e non cerchi di ingannare noi. Con semplicità disarmante ci spieghi che significa, per reggersi a un appoggio, non poter prendere sotto braccio il marito, per mano le figlie o far cavalluccio per loro, come diventa più complicato accudire un gatto, inginocchiarsi in una chiesa, reggere un ombrello, pensare alla fuga se una scossa di terremoto agita il lampadario. Non ci chiedi comprensione, illumini qualcosa che sfioravamo, tutti presi proprio a correre. E senza volerlo ci fai un poco vergognare con noi stessi della leggera inconsapevolezza con la quale ripetiamo tanti gesti. Ci insegni che nel Male si possiede un Bene, ti rivolgi affettuosa e talora severa alle tue gambe e le rassicuri, la vera menomazione sarebbe, in questo bene che è il comunicare, perdere la vista che legge, l’udito che ascolta, la voce che narra.
Hai raccontato l’ospedale su La Stampa, racconti l’esistenza nel tuo blog Sclerotica. In questo libro narri la vita involucro e anima di quella rubrica e del blog. Lo fai anche con l’arguzia degli acrostici: le stampelle, affidando una parola ad ogni lettera, Sorreggono Talentuose Amorevoli Mantengono Posizione E Luminosa Libertà. Un esercizio letterario ribalta l’immagine comune d’un oggetto. Lo fai con i libri, i film, le musiche della tua storia e in tutti trovi i riflessi del passo, del cammino. Lo fai dialogando con le tue gambe come fosse una conversazione privata in mezzo a una folla tutt’orecchi (e io ti seguo sostituendo a una recensione una lettera pubblica). Lo fai svelando le ondate di depressione connesse alla chimica della malattia, cosciente che non è un inatteso baratro, ma un male accessorio che dovrà ogni volta arrendersi alla tua serena ostinazione a procedere.
Avresti potuto, cara Noria, inchiodarci intimiditi alla nostra libertà di correre, invece ci hai autorizzati senza rancore a correre, con l’accortezza di fermarci a prender fiato e, mentre nascondiamo la fatica, ecco che spunti tu col sorriso. All’inizio citi Andersen, citi fiabe di apparente sventura come Il brutto anatroccolo, ma ti accompagna fino alla fine del libro Gianni Rodari, che t’ispira una percezione dolce e birbante anche per il nome di una molecola, facendola percepire a te e a noi come uscita dalle Favole al telefono.
Dice il tuo acrostico di Sclerosi: Sposta Comandi Lega E Rompe Ogni Solida Immagine. E’ triste, ma quello del tuo nome, Noria, lo annienta: Nave Ondivaga Ricerca Indirizzi Ardimentosi. E quegli indirizzi ardimentosi li conosci e ce li insegni: sono il continuo scoprire domani senza che ieri e oggi siano zavorra.
Grazie, dunque. Con affettuosa stima,
Marco.