Eritrea, luglio 1936. Militari italiani e ascari, civili indigeni, trafficoni internazionali, poveracci. A chi può interessare, in quel brulichio di vite, la strana sorte di un ingegnere che ha lasciato ogni incarico, si è ritirato a vita solitaria e una mattina viene trovato appeso per il collo a un trave?
Per mestiere e per passione di quel mestiere l’impiccato interessa al maggiore dei Carabinieri Reali Aldo Morosini, io narrante di Le nebbie di Massaua (Edizioni del Capricorno), eccellente noir storico di Giorgio Ballario, che alla sua creatura in uniforme ha già dedicato tre romanzi. Eccellente perché sono tutt’uno i due elementi fondanti: svolte e sorprese dell’intreccio e pulsare genuino, non documentaristico, dei luoghi e del momento storico. Ballario, studioso del colonialismo, non fa dell’Africa Orientale Italiana uno sfondo, un palcoscenico, la svela facendone radice e motore della vicenda. Il lettore percorre e vive quelle terre e quegli anni con la stessa naturalezza con la quale in Il destino dell’avvoltoio (2017) attraversava e respirava la Torino nera.
Il romanzo si apre nel pieno di un incubo: il maggiore distaccato a Massaua si risveglia in ospedale, dove l’hanno portato quando le febbri della malaria l’hanno reso incosciente. La malattia e il rigore dei medici tengono lui bloccato ma non riescono a domare senso del dovere e innata spinta a capire: dal letto o da un piccolo ufficio che gli imprestano quando può alzarsi, guida i suoi fedelissimi, il maresciallo Barbagallo e lo scium-basci (sottufficiale indigeno) Tesfaghi nel mistero di quell’improvviso suicidio.
Strambo individuo l’ingegnere impiccato. E’ arrivato lì dopo aver lavorato per ditte italiane in Etiopia e belghe in Congo. Si è creato una clausura, con i servizi di un giardiniere che lo racconta solo e triste, con fantasmi in testa. Ma emergerà una seconda vita tra conti in banca e puntate al bordello di lusso.
Dalla prigione di lenzuola, farmaci, suore Morosini non si accontenta della facile spiegazione di un suicidio nel quale mancano, ai piedi del morto, uno sgabello o una sedia per salire al nodo, scalciarle via e lasciarsi penzolare. Tra accessi di febbre e medicine guida i suoi uomini, riceve curiose figure che possono dare informazioni e prepara la sorprendente azione finale.
Ma quanto è pièce teatrale la sua vita in ospedale, tanto è in movimento, affollato, eterogeneo il film del mondo fuori. La richiesta del primario all’ufficiale di indagare su sparizioni di farmaci porta nel racconto animi, miserie, speranze, generosità di quel mondo. E così gli incontri nel giardino: tra gli altri Mario Gramsci, il fratello fascista di Antonio, sul quale Ballario cuce un interessante dialogo su affetti e ideologie.
Non è il caso d’aggiunger altro sull’intreccio noir, sorprendente per noi e insieme storicamente rivelatore: vita civile (rapporti tra italiani e locali, commerci) e militare (soldati in trasferimento, attese di licenze, nostalgie di casa), e poi ambienti (dall’ospedale al souk ai bordelli, dai villaggi alla città) sono battito cardiaco e sangue della narrazione in prima persona di Morosini, che si conforta leggendo Seneca e, per capire uno pseudonimo, studia Rimbaud. E la storia noir diventa un pezzetto di Storia scritto allora.