Cassazione, sentenze e titoli di tg

Secondo i titoli di tg e quotidiani la Corte di Cassazione ha stabilito che non è poi così grave violentare una donna che ha bevuto troppo. Ovviamente non è così.

Siamo avvezzi a scandalizzarci, imbestialirci, scaricare su qualcuno il nostro scontento. I media lanciano l’osso e noi mordiamo, senza curiosità di sapere quanto sotto il titolo c’è di vero e in quel caso come i giudici siano arrivati a quella che giustamente ci pare un’aberrazione.

La sintesi del titoli è un ‘esigenza, si può anche prediligere un elemento, ma non si dovrebbe farne il tutto, a maggior ragione in una sentenza , che è un castello di tasselli. Altrimenti non è sintesi, è una bomba a mano lanciata in una folla che vive di slogan anziché ragionamenti.

Nel caso di questi giorni, sotto un titolo ambiguo, il quotidiano Repubblica racconta  la realtà. La vittima cenò liberamente con due uomini, durante la cena (che non lasciava intendere bieche intenzioni) corse troppo vino. Sulla base dei ricordi della donna, il Tribunale mandò assolti gli imputati non ritenendo attendibile la versione di lei, per la quale i due dopo pasto e bicchieri in eccesso sfruttarono la situazione per abusare. La Corte d’Appello, anche analizzando il referto di Pronto Soccorso, dove si citavano segni di resistenza, ribaltò il verdetto ed emise le condanna con le attenuanti generiche e l’aggravante dell’induzione ad assumere alcol.

Ora la Cassazione ha confermato la violenza, proprio sulla base del fatto che approfittare dell’ubriachezza significa che il rapporto non è lucidamente consenziente, che sussiste un’inferiorità psichica che configura il reato in tutta la sua gravità (art. 609 bis c.p.). Ha però rinviato alla Corte d’Appello la sentenza perché siano rivalutate le pene senza l’aggravante dell’aver indotto a bere contro la volontà (art. 609 ter), giacché secondo la ricostruzione l’alcol fu un atto libero della donna e non uno strumento del disegno criminale. Una questione tecnica: chi grida che vanno rimossi i giudici più che rimuovere i giudici deve riscrivere il codice penale..

Lo stesso pandemonio suscitò la sentenza del novembre 1998 nota come “se una donna ha i jeans non è stupro”. Ecco le carte. Una ragazza di 18 anni denunciò di essere stata violentata alle 12-12,30 dal suo istruttore di guida in una stradina di campagna. I giudici di primo grado credettero all’uomo –  sosteneva che il rapporto era stato consenziente – e lo assolsero dai reati di violenza carnale, violenza privata e ratto a scopo di libidine, lo condannarono  a due mesi e dieci giorni per atti osceni in luogo pubblico. La Corte d’Appello ribaltò il verdetto, lo ritenne colpevole di tutto e gli diede 2 anni e 10 mesi.

La  Cassazione (che non si pronuncia sui jeans o sull’alcol in generale, ma su un caso specifico e sulle motivazioni della precedente decisione nel loro insieme) contestò più elementi della sentenza d’Appello.  L’uomo (più grande di lei e sposato) va a prelevare la ragazza a casa, anziché procedere alla lezione conduce l’auto in una stradina.  Nelle osservazioni della Corte compaiono più aspetti e tra loro i jeans. Scrivono i magistrati che non risulta tentativo di scendere, che è difficile sfilare i jeans a una persona che dentro un’auto si sta difendendo. E ancora: se soltanto una gamba è sfilata può significare resistenza, ma anche, in caso di rapporto consensuale, il non denudarsi del tutto in un’ora come il mezzogiorno dove può passare gente. Ma non è questa da sola la motivazione. Questo elemento viene inanellato con il fatto che, dopo l’abuso, in stato di choc la ragazza guida l’auto per il rientro sotto le indicazioni dell’istruttore come in una lezione. Ancora: a casa la giovane appare turbata, riceve domande dai genitori ma nulla rivela. La sera esce e va alla lezione di teoria in Scuola guida. Al ritorno racconta l’episodio. L’uomo, subito fermato, conferma ora, luogo e rapporto fisico, che sostiene essere stato consenziente. La Corte in sostanza non dice:  non poteva da solo sfilarle i jeans, quindi è innocente. Dice: l’insieme delle ragioni per le quali condanni non è sufficiente.

Qui non si vuole discutere se analisi e deduzioni della Cassazione siano giuste o sbagliate. Si rimarca come in un caso gli italiani dibattano su un particolare (l’aggravante) come fosse la negazione del reato, nell’altro su un dettaglio che invece è una pallina della collana. Tenendo presente che, se nel caso dei jeans la Corte avalla il primo grado di giudizio, in quello di questi giorni lo ribalta: i due assolti al primo processo vedono confermata la condanna d’Appello.

Queste considerazioni nulla tolgono alla repulsione che lo stupro (con tutti i danni a venire) genera. Ma la repulsione non deve farci dimenticare, deve anzi ricordarci, che a maggior ragione l’analisi deve essere minuziosa. E’ inutile citare ad esempio d’errore Enzo Tortora e le accuse sulla droga, poi volere giustizia drastica e sommaria per un delitto tanto atroce quanto infamante: qualcuno si faccia raccontare la vita di un violentatore in galera, poi pensi a se stesso che innocente ci finisce per errore o perché i giudici accontentano la folla.

Eppure i media sacrificano da tempo – non soltanto in politica – la verità all’euforia quasi patologica del sensazionale. Un esempio di qualche anno fa. Due ragazzine accusarono immigrati sconosciuti di averle, a distanza di un’ora, violentate in pieno giorno in un parcheggio alle porte di Torino. Visto il luogo e sentiti i racconti, espressi in redazione molte perplessità. Ma l’esaltazione era cominciata, furono decise due pagine nazionali. La sera, verso le 21,30 confermai:  lo stupro era una clamorosa bufala, la Procura della Repubblica l’indomani avrebbe dato notizie ufficiali. Spiegai che una delle due giovani doveva andare con la madre alla sua prima visita ginecologica e non sapeva come giustificare il fatto di non essere vergine  (l’amica, povera, aveva pensato di rinforzare la storia con un “è successo anche a me”). Feci presente che una notizia simile avrebbe acceso un clima orrendo per nulla. Mi fu risposto: “Così distruggi le pagine”. Infatti uscimmo con due pagine: una, scritta da altri, con la grande bufala, e una mia che raccontava come stereotipi appresi dai media incendiano la fantasia e le proprie piccole ingenue storie ambientando tutto in luoghi deputati alla paura. L’indomani il Procuratore della Repubblica spiegò in conferenza stampa la vicenda, compresa la timorosa, infantile, perfino disarmante ritrattazione delle due ragazze. Ma il gioco del terrore al parcheggio fu prima lanciato e poi soffocato quasi con indignazione.