Anche sui Mondiali si è abbattuta la cacofonia di urla e slogan che si spintonano nel dissolversi della Politica.
Un vicepresidente del Consiglio, nonché ministro di quel che gli aggrada la mattina, è andato a Mosca a “gufare contro la Francia” per far dispetto a Macron. E tifosi orfani di una nazionale si sono accodati, tifando Croazia per contraddire lui o con antipatia per i “nipotini degli ustascia”. Dimenticando che il fascista nazionalista croato Ante Pavelic fu a lungo ospite del governo italiano e dittatore in casa sua massacrò i serbi con alleati tedeschi di Hitler e italiani di Mussolini (Aimone Savoia-Aosta, senza mai metterci piede, divenne il re col nome di Tomislavo II). Se questi croati sono i nipotini di Pavelic, noi siamo i padrini del nonno.
Le incursioni vestite di passato e presente fra Stati sono specchio del nuovo corso: slogan anziché ragionamenti. E discendono dall’assuefazione al vuoto di pensiero che ha dissolto la Politica intesa come visione della società, dei suoi problemi, del suo sviluppo. Esiste la corsa al Potere quale fine e non quale strumento di programma per la collettività. Ci si agita in grida da taverna, domandandosi “funziona” o “non funziona”.
Giuseppe Conte appare e scompare, portavoce di quel che l’Europa elemosina e che lui diffonde come muscolare conquista. Matteo Salvini – a differenza di Bossi, Maroni e perfino Borghezio – si muove come un attore che di tutto il copione ha studiato qualche pagina ad effetto. Ha una visione del potere e del successo, nessuna della politica. Non a caso, anziché “chi ha più voti vince”, ebbe a dire: “Chi ha più voti ha ragione”. Il che significa che quando Renzi vinse le Europee (in realtà perché molti elettori si fidavano più di lui che di Berlusconi quale argine ai 5 stelle) Renzi “aveva ragione” e lui torto. Salvini ha idee chiare su come attrarre consenso, non sul rapporto concetto-parola.
Luigi Di Maio talvolta è imbarazzante: arranca per tener dietro al rumoroso socio, ne approva le mosse ma manda messaggi al presidente Mattarella: non sgridare me, sai com’è fatto. Come un gregario al preside quando il bullo lo mette nei guai. E’ così indaffarato in questa ginnastica da non leggere fino in fondo un documento tecnico che accompagna un decreto, strilla al complotto, se la prende con il presidente dell’Inps Boeri (con il quale si può essere d’accordo o no, ma ha una visione economico politica dello Stato) però lancia il sasso, corre, lo riacchiappa in volo ma gli cade: “Non lo si può rimuovere ora”. Qualcuno trovi una logica.
Il povero Toninelli picchietta sul telefono e serio serio dà ragione a tutti: a Mattarella, a Conte, a Salvini, a Di Maio, anche quando dicono cose diverse. La Meloni si barcamena in un “bravo Matteo, ma si può far di più”, gli soffia trovate aberranti (la tortura come strumento di lavoro delle polizie) per far campagna e dire all’amico: quando farai un governo tutto tuo senza quei pasticcioni ci siamo anche noi. Berlusconi riappare con lo spettro comunista dei grillini e un inatteso buonsenso: dopo aver in campagna gridato lo slogan per cui si dovevano cacciare seicentomila stranieri e aver dato fiato a piazzuole indemoniate e ingigantite dalla tv, ora predica anche “un po’ di umanità” per racimolare gli avanzi degli altri.
Quel poco di idea politica sopravvissuto all’era della comunicazione di Renzi il pd lo consuma riunendosi e dicendosi che si deve rinascere, badare alle classi meno tutelate. Sembra di vedere medico e moribondo che, anziché badare alle cure, stanno insieme alla finestra per gridare ai passanti che smog, fumo, alcol, troppi grassi fanno male. Sbigottiti, personaggi che un’idea l’avevano (da Bersani a Emma Bonino) restano a lato come chi non ha più ascolto. E il Parlamento è una grande classe delle elementari in perenne ora di ricreazione.
In tutto questo non c’è Politica. C’è un Grande Fratello, un‘Isola dei Famosi, un talent per nuove e datate voci dove contano i decibel anziché i contenuti. Il fascismo non nascerà da un duce più duce di altri: sta già nascendo negli elettori, seminato nel vuoto – per incapacità o per scelta – dai dispensatori di parole da confondere con i contenuti, slogan con i fatti, “nemici” con i veri problemi. E’ già seminato nei campi dell’approssimazione, della credulità, della linea di governo come uno spot in tv o sui social, della delega a chi, con o senza risultati, non dà tempo di pensare alle code per una visita in ospedale, ai licenziamenti, alla morte in cantiere, alla corruzione smisurata, alla ditta che chiude perché battuta dalle mafie negli appalti. E alla morte per dissanguamento morale.