L’anoressia appare, a uno sguardo veloce, un lento suicidio programmato. Forse è più terribile e raffinata: è vivere accarezzando la morte, è coccolare la morte rinviando l’incontro. Questo tremore lascia la lettura del bel romanzo Come una piuma (Prospero editore), opera prima a firma Rosalia Pucci.
Quasi per paradosso il libro si apre con un invito a una festa, invito che Cecilia, la protagonista, non può respingere, ma che la pone di fronte a tempeste e approdi di dolcezza della sua vita. Cecilia è un’adulta, insegnante in crisi con la scuola per il suo segreto (poco segreto) di anoressia, si trascina tra recuperi e cadute da più di vent’anni, in crisi con se stessa e con le cicatrici d’un grande amore e quelle d’un legame che tutt’al più poteva essere una cura palliativa all’altro. La festa di oggi riunirà speranza e disillusioni, trappole e impennate, affetti e solitudini di un cammino faticoso, scandito, tenuto a bada, strattonato dall’anoressia.
La scelta felice di Rosalia Pucci è incastrare nel racconto del presente di Cecilia il progressivo avanzare della sua storia, venticinque anni di un male dello spirito che si concretizza e si contorce nel rapporto con il cibo. Anno dopo anno il lettore legge insieme con la protagonista la sua adolescenza, l’iscrizione al liceo classico e l’accoglienza da parte di Veronica, la nuova amica che sarà fino alle ultime pagine rifugio e sponda, sicurezza e monito, sprone e delicatezza e la cui festa sarà il culmine della dedizione.
Sebbene talora il desiderio di chiarezza raffreddi qualche dialogo, l’autrice non è tentata dalla spiegazione, dall’educare il lettore: i personaggi si muovono liberi – impotenti, reattivi o freddi – nel labirinto della sofferenza . Ecco la tavola con i genitori tra frasi senza peso apparente (“Se non hai fame, non mangiare. Non sei patita”), ma ecco anche rapporti cristallizzati in ruoli, privi dello slancio lieve, ancorati al confronto sociale. Il disturbo si fa palese, con l’ostinazione a confondere la rinuncia al cibo con l’autocontrollo: vengono i ricoveri, ma anche sguardi nei quali il confine tra pena e condanna si dissolve, viene la psicoterapia e, quasi per contrasto con la propria condizione, il volontariato.
Il passato avanza inanellandosi all’oggi, verso quella festa che sarà la svolta di due esistenze e altre ancora. Il trasferimento a Roma, l’amore spezzato dall’assenza di futuro certo, che lei pare portarsi addosso su quella gambe che sui tacchi alti paiono “due mazze da golf”, la tragedia che s’abbatte sulla vita dell’amica Veronica con l’attentato della ‘ndrangheta che uccide il padre, il difficile confronto da insegnante con un’allieva che tasta il terreno per trovar comprensione (o complicità?) nella professoressa che così drammaticamente le somiglia. Un coro di figure coinvolte con reazioni diverse – parenti e amici, medici e colleghi – accompagna, sottolinea, sfiora o sfida la solitudine interiore.
Come una piuma, s’è detto, non vuol insegnare, è un romanzo e da romanzo racconta, eppure ci mette in guardia: sul nostro sbrigativo liquidare gravi problemi con il toccasana della forza di volontà, sui luoghi comuni, mostrandoci un’anoressia che porta a cercare in cucina (per gli altri e per veder ciò che ci si toglie) una precisione “come quella degli chef”, a calibrare le calorie per non soccombere. Il lettore segue Cecilia dall’adolescenza alla festa dove insieme scoprire i vasi comunicanti – talora otturati, talora liberi e scorrevoli – che fanno dialogare sofferenza e affetto, morte e vita.