Pare impossibile capire origine e fine di ringhi, barriti, spari di Matteo Salvini, Mnistro dell’Interno e strillone del governo. Fra migranti e rom, scorta di Saviano e vaccini non dà tempo ai giornalisti e alla gente dei social di togliere le dita dalla tastiera.
Trascuriamo per un momento i contenuti, sebbene inquietanti per usare un eufemismo. Guardiamo la sequenza, la raffica, l’affidarsi all’effetto ripetizione-acclamazione-insulto-polemica. E’ evidente che il signor ministro non ha intenzione di sedersi in ufficio e, per esempio, guardare i problemi dell’immenso apparato che dovrebbe gestire. Manca così di rispetto non soltanto ai cittadini e ai suoi elettori, ma anche a persone che con grande sacrificio per i cittadini fanno il loro lavoro ogni giorno.
Non si legge di incontri con i prefetti, con i sindacati di polizia. Un giovane alterato accoltella un agente e un altro agente gli spara e lo uccide? Compriamo i taser, che possono sì essere utili, ma da soli possono servire a mandare a processo il poliziotto che lo usa con un cardiopatico nervoso. Che dirà quel tutore dell’ordine al giudice: “Capo Matteo ha detto di far così?”. Lui non pensa all’uomo in divisa, pensa al popolo che vive al cinema e al quale ha insegnato la paura e promesso soluzioni eclatanti.
La prima cosa che dovrebbe fare il Ministro è incontrare quei lavoratori, sentirne disagi, attese, sforzi, carenze di numero, problemi di controllo del territorio. No, lui se ne viene fuori con migranti e vaccini. Aspettiamo una circolare: i rom italiani, che non possono essere cacciati, sono esentati da qualunque vaccino, così si levano di torno da soli.
Non per autocitazione, ma negli Anni ’80 scrissi alcune pagine d’un romanzo nelle quali un attore impazziva in scena e confondeva il pubblico e i rumori del teatro con i suoi spettri. Salvini è vissuto fino a oggi, oltre che di massicci stipendi da parlamentare europeo, di costante campagna elettorale. Forse crede che governare sia continuare a cercare voti e basta (che invece dovrebbero crescere per quel che si fa), forse a guidare un paese o un ministero non è capace e sopperisce così, forse – e con più probabilità – lavora a portar via suffragi alla truppa che gli ha messo a disposizione Casaleggio per poi tornare alle urne e fregarla.
Quel che è certo è che, sentendosi proprietario del palco, si è autoesaltato, come i bambini bulletti alle recite, fa come quell’attore impazzito, straparla, intreccia realtà e fantasia, è preso da una furia mentale e verbale inarrestabile e sempre più variegata e confusa che pare quella d’un delirante quando tanti gli fanno cerchio intorno. Occorre sì stare attenti alla collana di grida, ma anche lasciare che una buona parte scivoli nei deserti che tanto lo ossessionano.