Violenza giovanile, alle radici del “gioco”

La violenza giovanile, fisica o psicologica, è spesso sottovalutata sul nascere come un “gioco” esagerato, che divampa poi  in allarme sociale. In realtà ha origini vaste e varie: seppur con qualche radice comune (disagio, autoaffermazione), bullismo, baby gang, criminalità minorile sono fenomeni  con spinte autonome e finalità diverse.

Riordinare  ambienti, comportamenti, coscienza o incoscienza degli effetti e della responsabilità è quanto si propone e realizza, con rigore d’inchiesta, Educati alla violenza (Imprimatur) di Antonio Murzio, giornalista che a lungo e per più testate ha navigato nella cronaca nera e nelle sue pieghe psicologiche.

Murzio apre l’indagine con testimonianze che nella loro semplicità e drammaticità svelano quanto accade intorno e dentro la vittima. Aurora, Andrea, Anna e altri narrano gli scalini del tormento: soprannomi (sventolina per le orecchie, quattrocchi per gli occhiali),  scherzi (colla nei capelli), derisione continua, crescendo di offese, minacce, sputi, botte. Con una pulizia di sentimenti e linguaggio che sconvolge, i ragazzi raccontano la devastazione interiore: paure e dubbi, senso d’inadeguatezza e disistima di sé, silenzio ostinato, autolesionismo, fino al pensiero ossessivo del suicidio.

L’autore non si erge ad esperto. Accompagna nei risvolti più dolorosi con il passo fermo del giornalista che non accetta spiegazioni sbrigative. Interroga la psicologa Maura Manca, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, per avere, anziché fulminee risposte da tg, itinerari di comprensione senza colpevoli predefiniti. Emergono i problemi della famiglia (responsabilità individuale o fatica in un confuso presente), la sua disattenzione e il suo sbando in una società, reale e virtuale, che muta rendendo difficile viverla, il suo rapporto con la scuola (“i figli non sono il voto che portano a casa”). Ed emergono anche carenze e difficoltà della scuola stessa, spesso cieca e impreparata ma spesso esautorata dall’esterno.

Incontriamo in queste pagine, accanto ai i sotterranei percorsi mentali delle vittime, quelli dei bulli (la scelta di chi colpire e l’autolegittimazione dei propri gesti), la loro origine (non necessariamente da aree di degrado), lo smarrimento o la fragilità di insegnanti e genitori (di fronte a ostinati mutismi da un lato,  dall’altro a piccole esuberanze che andrebbero decifrate subito) , ci misuriamo con risposte superficiali e pericolose (“reagisci, picchia”, detto a chi non si sente di farlo non ottiene che un aumento della frustrazione). E conosciamo la componente che volentieri si sottovaluta: gli spettatori, che con sorriso o silenzio o indifferenza, creano consenso, amplificano l’isolamento e una violenza che di platea si nutre.

Testimonianze, cifre, statistiche, risvolti giudiziari sono linfa di un’analisi che spazza via luoghi comuni, equivoci e approssimazioni. Il libro scava in tre realtà (bullismo, baby gang, criminalità minorile) che hanno in comune forme di disagio sociale o interiore e autoaffermazione, ma anche origini, percorsi, scopi ed effetti diversi. Se per il bullo (fisico o cyber) è indispensabile il pubblico, per la baby gang lo sono riti e regole e discorso ancor più complesso si apre per i giovani che fanno il loro esordio nella criminalità organizzata. Murzio ci guida tra le bande genovesi o milanesi, ci conduce nelle notti napoletane della giovanile camorra e nelle case calabresi dove la ‘ndrangheta “si eredita”, ci fa assistere a come nascono, sono allevati e preparati, a come crescono e s’impongono nuovi boss.

Educati alla violenza evita schematismi, tutto ciò che pare scontato, penetra in un mondo – bulli, vittime, compagni più o meno consapevolmente complici, gang, criminali professionisti, adulti,  – con onestà, perché anziché improbabili soluzioni porge strumenti di conoscenza per affrontare e prevenire.