Berlusconi, la Politica e il Diritto

Quando Silvio Berlusconi, nel 1994, “scese in campo” appresi la notizia in India, nel bar d’un albergo. Con lo scrittore e regista Alberto Bevilalacqua, che era accanto a me, scherzai: “Torniamo o restiamo qui?”. Questo per definire  quella che fu subito, e senza mai mutare, l’opinione sull’avventura politica, e non solo, del Cavaliere.

Ciò chiarito, non c’è motivo di indignarsi quando – con un’Ordinanza, che molti chiamano Sentenza – i giudici di Sorveglianza accolgono la sua richiesta di Riabilitazione, che è prevista nei tempi, nei modi, nella sostanza da leggi che riguardano ciascuno di noi. Il problema si porrebbe se le norme del Codice penale (art. 178 e 179) e del Codice di Procedura penale (art. 683) non fossero datate, ma fossero spuntate all’improvviso per lui.

E’ vero che l’intera storia di Berlusconi – perfino quella privata, poi quelle politica e giudiziaria – ha nel tempo creato in molti repulsione per l’uomo, ma quell’uomo ha davanti alle toghe i diritti di tutti gli altri uomini. Come dev’essere quando i diritti sono scritti per la collettività, amici e nemici nostri, e non appositamente – e lui questo lo fece o lo ispirò – per uno o contro chi quell’uno ritiene un nemico (leggi Gian Carlo Caselli).

L’Italia si è abituata (grazie anche ai processi fuori aula, anticipati  in tv e sui social) a “giudicare la giustizia” secondo le convinzioni, le emozioni, simpatie e antipatie di ognuno e secondo l’ondata di propaganda più o meno intensa contro l’operato di magistrati che applicano leggi scritte da consulenti di esponenti politici e votate da parlamentari che al massimo ne hanno letto il riassunto sui giornali.

L’Italia decide per strada e valuta il giudizio ufficiale secondo la conformità con il suo, sempre sull’onda emotiva. Quando nel 2008 la Corte di Cassazione confermò la condanna di Annamaria Franzoni per il delitto di Cogne ai giornali giunsero lettere festose di persone che nemmeno spendevano una parola per il povero Samuele, ma gioivano per l’adeguarsi dello Stato alle loro convinzioni o, peggio ancora, per la soddisfazione di veder punita una donna dalla vita stravolta che li aveva dapprima commossi e poi irritati e poi esasperati con i pianti nella televisione che la sfruttava per l’audience.

Il problema di oggi non è indignarsi per la riabilitazione concessa al condannato Silvio Berlusconi, pur segnato da oscuri legami e gioie di Arcore. E’ piuttosto sul fatto che le toghe hanno applicato una figura giuridica che – oltre alle conseguenze politiche – ha assunto un significato più ampio quando i mass media hanno voluto sintetizzare l’Ordinanza in “Berlusconi riabilitato dai giudici”, titolo giornalistico che svia evocando non l’estinzione delle “pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna” ma la cancellazione dell’intero passato. Accadde qualcosa di analogo (e molto più pesante), con più forzatura e in malafede,  per “Andreotti assolto” quando la prescrizione si limitava a prendere atto che erano superati i tempi tecnici per punire fatti che si ritenevano avvenuti.

Se poi si vuol dare una lettura politica, questa riabilitazione “grida” che – tolto l’episodio della legge Severino, che però evidentemente non prevedeva deroghe ai Codici in merito alla Riabilitazione – nessuna delle persone sedute negli anni in Parlamento, nessuna delle persone oggi protese a governare ha mai voluto affrontare, se non a parole, la devastata e devastante questione morale italiana, lasciando ogni onere al Diritto, che è insieme nobile padre antico e figlio oggi mal concepito della Politica.