Su un vaporetto nei canali veneziani un antico signore dall’aspetto d’un pappagallo con un cenno chiama accanto a sé un giovane amico e con lui libera memoria, rimpianto, riflessione. E’ Aldo Palazzeschi, che confida lampi della sua vita di letterato e di uomo.
Fra ponti e calli, trattorie e gondole, fra viali e portici, redazione e tipografia, fra tavoli d’altre osterie torinesi passano quasi timidi o esuberanti grandi nomi della Cultura, celebri firme o “cucinieri” appartati del giornalismo italiano, ciascuno con un segreto, una speranza, un regalo d’affetto, e si sfiorano o s’incrociano in una quieta cittadella dove le vie e le piazze sono le pagine.
E’ Il pappagallo e il Doge (Biblioteca dei Leoni) di Alberto Sinigaglia, veneziano “sbarcato” giovanissimo a Milano nella Mondadori del severo Arnoldo e poi “rapito” a Torino dal mitico direttore della Stampa Giulio De Benedetti. Prima al settore politico, poi alla Terza pagina con Carlo Casalegno, Sinigaglia – forte della passata esperienza e delle tante amicizie nel mondo letterario e musicale – guida l’entusiasta drappello di colleghi che nel 1975 crea Tuttolibri . Per anni al vertice delle pagine culturali della Stampa, oggi insegna Giornalismo all’Università di Torino, è presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, della Fondazione Filippo Burzio e del Comitato scientifico della Fondazione Cesare Pavese.
Una vita fra scrittori, direttori d’orchestra, colleghi. Ma Il pappagallo e il Doge non è un semplice libro di memorie, una collana di incontri ed episodi. E’ il cenno per chiamare amici – come Palazzeschi fece con lui sul vaporetto – perché s’accostino e, quasi fossero al riparo da occhi e orecchie estranei, si lascino andare a confidenza, gioco, rievocazione, rimpianto o autoironia tra tavoli di trattorie, scrivanie o mense di redazione, vetrine del centro e ville inquietanti.
Passa e torna per le pagine e per le nostre case Mario Soldati che sulla tovaglia della cena appoggia un taccuino e d’improvviso comincia a scrivere L’incendio, Soldati che nel centro di Torino vede in vetrina una splendida giacca, che il magnanimo Giulio Einaudi gli regala, che a Tellaro, a cena intona felice per la moglie Jucci “Parlami d’amore Mariù”, lasciando silenziosi tutti gli avventori.
Passa il “malvagio” e sorridente Hugo Pratt, che gioca una burla irridente e ineccepibile, vista la richiesta, a un amico che si trova in una situazione più che imbarazzante. Ecco Massimo MIla, che spiazza i grandi chef e si rifugia in piola. Passano per La Stampa e per l’ufficio di Sinigaglia le grandi firme, Biagi, Montanelli, Spadolini, ciascuno con il suo carisma e le sue delusioni professionali. Passano nella trattoria dei giornalisti – aperta per i nottambuli – gli attori dopo lo spettacolo al teatro Alfieri. Scorrono le ultime ore trascorse con Carlo Casalegno a impostare il lavoro del pomeriggio: poi Carlo esce, va a casa, nell’androne lo aspettano i terroristi. Si accendono notti di baldoria nella mensa vicino alla tipografia, una diversa notte di meraviglia e nebbia nella villa in collina d’un collaboratore che organizza una strampalata cena. Si improvvisa cuoco professionista un collega che dietro le donne perde sé e i suoi averi e arrotonda il proprio bilancio nella cucina d’un bizzarro ex capitano dell’esercito promosso con sua gioia Colonnello dai fedeli avventori notturni.
Nessuna operazione nostalgia. Anzi, una garbata serie di quadri animati e densi di sentimento, E’ vero, il tempo ha continuato a mutare società, lavoro, sensibilità, oggi tutto pare più asettico, ma in Il pappagallo e il Doge, l’avventura del magico vaporetto scivola tra notti e giorni come un canto d’amore per l’anima di una professione, dove il “nocchiero” delle pagine è un capo ma anche un confidente, dove la Cultura non è quanto si sa, ma un modo di vivere.