Animali, il piacere d’uccidere

Animali ammazzati in safari e trionfali fotografie da mandare agli amici, condividere sui social, appendere in casa. Di fronte a quattro di queste immagini, raccolte e diffuse per denuncia, il dolore per i grossi animali stesi a terra è via via sovrastato dall’orrore per i gesti, l’esibizione, la recita, il piacere quasi erotico dei cacciatori.

Si vedono cadaveri, uomini e donne con le armi levate al cielo (seppure nell’iconografia l’inferno stia dalla parte opposta), la gioia, il senso di trionfo soldatesco in certi momenti simili a quello dei guerriglieri che trucidano una popolazione o sgozzano l’ostaggio. C’è negli uomini un orgoglio maschile da stupro di branco. In una donna del gruppo, che si è distesa a terra accanto alla carcassa, una pace post-orgasmo. Si ha l’impressione di qualcosa di simile alla guerra dei mercenari e allo sfogo di un istinto che sfogato qui, sui propri simili, costerebbe troppo caro.

Chi anche volesse liquidare la faccenda con “sono soltanto animali”, si domandi: e se fossero l’anticamera? Chi si fa ritrarre in quelle pose prova piacere e piacere proverà anche davanti alla tv, ai bambini e agli adulti lacerati da una bomba: che bello, qualcuno ha vinto. Il gusto di ammazzare (e il senso d’onnipotenza che contiene) può dilagare. In Verdi colline d’Africa, scriveva Ernest Hemingway, che di safari s’intendeva: “Quel che si prova a uccidere non si può dividere con nessuno”. Siamo già oltre: “”Uccidere assomiglia a un prurito che non riesci mai a placare del tutto” (Peter Swanson, Quelli che meritano di essere uccisi).

Parlando di giardini zoologici scrisse in La storia di San Michele Axel Munthe , lo psichiatra svedese che lavorò in Francia (e in clinica universitaria ebbe anche a misurarsi con esperimenti sugli animali): “La crudele bestia feroce non è dietro le sbarre della gabbia ma davanti”. Dopo averle osservate con pietà, distogliamo allora lo sguardo dalle carcasse e studiamo volti, gesti, espressioni dei “vincitori”. E risentiamo la voce saggia e profonda di Giovanni Arpino che legge dal suo Diario Bestiario: “L’animale vuole essere rispettato, e a distanza, quando mangia. Poi ridiventa socievole. L’uomo è animale socievole solo quando mangia. Prima e dopo uccide e si fa uccidere: la sua giungla è più lunga”.