Governare sì, ma non con alleati: con complici o agnelli sacrificali. Sono così diversi e così uguali i “vincitori” delle elezioni. Sotto la spocchia scorre il fiume della viltà.
Immaginiamo il presidente Mattarella che dice: “Ho trovato io una larga maggioranza disposta a condividere tutto se mantieni ciò che hai promesso”. Allora tornerebbero utili gli insulti della campagna elettorale: con lui non posso.
Esiste di peggio – ma non molto – di un uomo politico che ha paura di se stesso, delle fesserie impraticabili che ha annunciato, di un lavoro – governare – per il quale occorrono doti che non soltanto non si hanno, ma che non si vogliono avere e anche si disprezzano. E non è umiltà, nulla da spartire con una celebre frase di Luigi Einaudi: “Milioni di italiani lavorano, producono e risparmiano nonostante quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli”.
Stiamo assistendo a giravolte volgari per trovare compagni di danze senza musica, non di qualcuno con il quale condividere uno sforzo stremato ma indispensabile. Compagni di responsabilità, su cui scaricare il tradimento delle promesse mancate, un parafuline usa e getta con cui domani condividere il mugugno, così da orientarlo e spartirlo prima che diventi ira. E anche in questo, nel tenersi pronti a un nuovo giudizio nelle urne, ci sono la viltà e l’immarcescibile arroganza verso l’elettore. Che oggi è l’omino smilzo di Georges Rouault, ma quando vota inverte – mafie, corruzione, scambi permettendo – le parti.
Che cosa davvero occorra con urgenza all’Italia non interessa a chi recupera la scena contando i punti elencati dal “mezzo alleato” come controllasse il compito di un allievo sul palco di un’irriverente pièce. Non lo sa chi ha vinto sugli altri non per suo merito ma per lo schifo “contro tutti” e ora apre a “quasi tutti”, ligio a quanto disse non un comico ma un truce maestro di nome Benito Mussolini: “Ogni rivoluzionario a un certo momento diventa conservatore”. Non lo sa chi ha vinto contro gli alleati picchiando duro sugli stranieri cosciente che – l’ha detto lui riferendosi ai sui attesi elettori – “non si può fermare un popolo in movimento”, figurati mezzo mondo. Non lo sa chi ha flirtato con le banche, tentato di cambiare regole del Potere, sparso mance e poi ha trovato il modo di chiederle indietro.
Non lo sanno perché nella rincorsa hanno perso per strada il presente, hanno visto lo striscione dell’arrivo e non il baratro che c’è pochi metri più avanti. Senza umiltà, anzi con spocchia, non hanno il coraggio che serve per governare sfidando l’onda e le correnti, l'”eroismo” di rischiare, facendo del bene a un Paese, di non essere amati. Si cercano e si respingono, si somigliano e si detestano in un mondo virtuale. Quello reale fa divampare la viltà.