Caselli: mafia, politica e Verità

Vicende che paiono appartenere al passato servono invece a interpretare presente e futuro. Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte, magistrati che hanno indagato a Palermo, in Sicilia e su per l’Italia con puntate all’estero, portano alla luce intrecci e  meccanismi oscuri in un libro, La verità sul processo Andreotti (Editori Laterza), che analizzando una lunga indagine e la sua reale conclusione (sempre e volutamente travisata) racconta uno dei Mali che torturano e straziano l’Italia.

Chi di quella storia giudiziaria ha un ricordo vago può supporre che si tratti di una ricostruzione col senno e con riflessioni e magari novità di poi. Chi ha qualche memoria in più può vederci un ripristino di elementi scordati o sovvertiti o negati. Per chi vuol conoscere realtà di ieri e di oggi il titolo e tutto il libro sono appesi alla prima parola: Verità. Caselli e Lo Forte, partendo dal processo Andreotti e percorrendolo, ristabiliscono sì una verità negata, alterata con disinvoltura ma, rievocando quel procedimento, offrono Storia, realtà accertate, segreti e passaggi, scelte diplomatiche e scelte di sangue di un imbuto nel quale comunque si infila la sorte del Paese: le relazioni mai sopite, via via mutate, fra crimine organizzato, economia (impresa e finanza), massoneria, e politica.

E’ il marzo 1993 quando Giulio Andreotti viene iscritto nel registro degli indagati, è l’ottobre 2004 quando la Corte di Cassazione pronuncia la sentenza definitiva. I titoli dei più importanti giornali italiani (da La Stampa al Corriere della Sera, da Repubblica a Il Sole 24 Ore) sono quasi uguali: “La Cassazione assolve Andreotti: non è mafioso”, “Definitiva l’assoluzione di Andreotti”, “Cassazione, Andreotti assolto”, “Andreotti innocente”. In realtà nella sentenza – difficile per i giornalisti dire d’aver titolato senza leggerla – era scritto che la Corte “ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione”. Pur di fronte a queste conclusioni, si trova però a dover riconoscere la “prescrizione” del reato scattata tenendo presenti le date nelle quali era accertato.

  • Diceva Caselli nei giorni scorsi: “Come si fa ad assolvere stabilendo che il reato c’è? E perché mai la difesa di un imputato già assolto in Appello dovrebbe ricorrere in Cassazione? Per farlo condannare? Dunque la Corte d’Appello non l’aveva assolto”. Eppure, quando nei giorni scorsi è stato annunciato dal Museo di Arti e mestieri d’un Tempo di Cisterna d’Asti un incontro con Caselli, qualcuno sui social ha chiosato: “E perché la verità ce la racconta soltanto adesso?”. Non adesso: era nel dispositivo della sentenza, oscurato però dal mondo dell’informazione. E il concetto di assoluzione sostituito a quello di prescrizione (cioè quando dal reato, individuato e riconosciuto, è trascorso un tempo determinato che estingue il reato e con esso la pena, il che non significa negare l’esistenza del primo) continua a dilagare . è ricorrente (lo si leggeva anche nei giorni scorsi per altre vicende).

Ma attenzione: questo libro non si fonda sulla questione di principio di due magistrati che, per dignità o risentimento, vogliono soltanto ristabilire la correttezza di ciò che è avvenuto. Da quella verità – non personale ma scritta e agli atti – fanno risaltare storia ed evoluzione delle connessioni tra poteri: criminale, economico, politico. Ecco, allora, illuminati da una luce inedita, i pentiti, a partire da Tommaso Buscetta, il loro ruolo, i passi e i retroscena che portano a collaborare, i rischi di false dichiarazioni e inquinamento del processo, gli accertamenti legati a ogni deposizione. Ecco l’avvicendarsi dei boss, Bagarella, Brusca, Spatuzza, i Graviano, Riina, Provenzano. Ecco le banche e la P2, Michele Sindona, condannato come mandante dell’omicidio Ambrosoli, poi avvelenato con il cianuro in carcere. Ecco i mutamenti di strategia, tra ala diplomatica e area stragista. Ecco la politica siciliana  e gli uomini di collegamento (i fratelli Salvo, l’onorevole Salvo Lima), ecco gli incontri, gli scambi di opinione. Ed ecco, terribile, l’elenco delle vittime, non bersagli di ferocia western ma di calcoli e gelide “esigenze”.

Ed ecco anche la strategia dell’isolamento, perfino dell’umiliazione, come toccò a Carlo Alberto Dalla Chiesa, a Giovanni Falcone. Ecco, ancora, l’incredibile, spudorata legge contra personam del 2005 con la quale il governo Berlusconi bloccò – mentre il Csm era a un passo dalla scelta – la candidatura di Caselli alla Procura Nazionale Antimafia con un provvedimento che poneva per la nomina un limite d’età di 66 anni (lui li aveva appena compiuti).

Le connessioni tra poteri emergono dai titoli di giornale, da libri, da dichiarazioni politiche. Episodio “curioso” di ostilità al lavoro della Procura è la relazione della Commissione antimafia presieduta dall’onorevole Roberto Centaro (Forza Italia) nel 2006. Nel libro Caselli e Lo Forte ricordano alla nostra distrazione come, senza mai essersi occupata durante i lavori del caso Andreotti, la Commissione inserisca nella relazione finale 380 pagine sui processi al leader dc, sui costi, sulla gestione dei pentiti, censurando comportamenti della magistratura.

Parlando del fenomeno in generale, ha detto Caselli: “La mafia, le mafie intrattengono rapporti larghi, disposte a cambiare di volta in volta gli interlocutori, si parte dai voti e si va a parare altrove”. E ha ammonito: “Finché esisterà la mafia esisterà la connessione”. L’incertezza del futuro sta nel fatto che finché esiste connessione più complesso è il lavoro degli inquirenti. Soltanto la loro tenacia e il loro rigore, insieme con la consapevolezza della società, non trasformano quell’incertezza in pessimismo.