Bulli che picchiano, bulli che sentenziano

Bulli dietro il suicidio d’una ragazza, bulli che schiaffeggiano un professore, bulli (è l’ultimo caso) che ad Alessandria legano un’insegnante e la prendono a calci. La reazione? colpa delle famiglie, ai miei tempi li inquadravano a schiaffoni, genitori assenti. Trovare di fretta una “categoria” di colpevoli sembra alleviare un po’ la paura, ma non soltanto non risolve il problema: nemmeno lo spiega.

Siamo sicuri che quei bulli non ricevano più legnate dei ragazzi modello? A fine febbraio abbiamo discusso –  al Museo di Arti e Mestieri d’un Tempo di Cisterna d’Asti – del lavoro di genitori con Chiara Saraceno, per anni docente di Sociologia della Famiglia all’Università di Torino e poi Professore di Ricerca a Berlino, non l’esperta che offre slogan, bensì la studiosa che analizza tutti i volti di un fenomeno. Ebbene, tra lo stupore del pubblico, quando si parlava d’un padre che ha aggredito un docente per un brutto voto, ha detto: “Siamo sicuri che quell’uomo sia soltanto iperprotettivo? Spesso e volentieri quegli individui le suonano anche al figlio: il fatto è che soltanto loro hanno il diritto di giudicare e punire, perché se lo fa un altro, in quello stesso momento mette in discussione la loro capacità e il loro ruolo assoluto. E a quell’ingerenza reagiscono, non alla presunta ingiustizia”.

Questo esempio ribalta il centro di un problema che pare marginale ed è invece una lente sui meccanismi della famiglia. Pensare che il bullismo sia frutto di lassismo o cecità dei genitori (il che accade) serve – giacché tutti ci riteniamo perfetti – a convincerci che a noi non può capitare qualcosa di simile, serve a dire “se sono minorenni e con un conto poco salato da parte della giustizia, ci serve un colpevole più grande e responsabile”. Chi scrive queste righe ha intervistato serial killer che da ragazzi avevano ricevuto molte più mazzate degli investigatori che li avevano catturati, ha incontrato violentatori e assassini figli di quelli che oggi, per reazione emotiva, vorremmo fossero padri e madri dei bulli.

Chiara Saraceno ha messo in risalto davanti al pubblico e ha ripetuto nei suoi libri (uno s’intitola Mamme e papà, gli esami non finiscono mai) che dettami, regole, consigli che sembravano il massimo della scienza psicologica quando una generazione era piccola sono stati smentiti, ribaltati, addirittura messi sotto accusa vent’anni o anche soltanto dieci anni dopo. E ha fatto notare come la reazione di commentatori televisivi vada a “periodi” colorati come quelli dei pittori: oggi è la famiglia che non funziona, oggi invece è la scuola ad essere un disastro, anzi è Internet che li porta in un’altra realtà.

E se ad agire fossero tutti gli elementi di una società? Scrive Chiara Saraceno che padri e madri di oggi non sono meglio o peggio di quelli di ieri: “Sono diventati più incerti, meno sicuri di sé e di ciò che si deve fare, non perché siano meno maturi dei loro genitori, nonni e bisnonni, ma perché sono più bombardati da messaggi e modelli contraddittori e insieme più consapevoli della complessità del contesto in cui fanno i genitori: dove non sono gli unici attori rilevanti e anzi devono competere con altri”.

Controllo troppo o troppo poco? Questo è tutelare o è frustrare la crescita? E poi il giudizio di tutti: parenti, vicini di casa, conoscenti e sconosciuti, media e social. La reazione collettiva è ondivaga fino all’assurdo: che eroina la madre che a Baltimora è scesa in strada e con due ceffoni s’è portata via dal corteo il figlio che tirava sassi ai poliziotti durante i funerali d’un giovane afroamericano ucciso durante l’arresto. Lei sì eroina, invece le donne che non volevano vedere i figli soldati nell’ex Jugoslavia erano sciagurate iperprotettive che non capivano il mondo.

Esistono famiglie disgraziate, colpevoli perché basate su modelli aggressivi e prepotenti, oppure devastate da ignoranza, oppure soltanto titubanti in un universo di elementi che entrano nella vita di un ragazzo. Ne esistono altre con figli che imparano ad essere sempre sorridenti ed educati da genitori soddisfatti d’intascare denaro che serviva a comprare per esempio un defibrillatore, di mostrare alla prole il disinvolto uso privato del bene pubblico, di attrezzarli a un bullismo “liquido” che non lascia evidenti ferite nel corpo o nell’anima, tutt’al più cadaveri non direttamente riconducibili a loro.

Capire quel che succede si può fare analizzando le notizie, leggendo libri senza considerarli testi sacri, non facendosi instillare una verità in testa da un minuto di parole dette da un “esperto” compiacente con l’esigenza di spettacolo dell’informazione televisiva o del Web.  E’  doveroso indignarsi contro i bulli, ma occorre anche smettere di essere bulli, con post indecorosi, che indicano il diverso quale bersaglio: lo straniero è quello che va per la maggiore, ma poi è facile per chi ascolta, legge, naviga, estendere il concetto di superiorità e inferiorità, dal colore al peso e alla forma fisica. Il fatto in sé di essere gruppo, di essere forza fa diventare bullismo anche le esasperazioni (facili da pilotare). E’ bullismo il post su famiglie che non si conoscono.  La soddisfazione di “avergliele cantate” in coro è un bullismo fragile ma non innocuo.