Italia piegata da solitudine e rancore

L’Italia delle elezioni ha contato vinti e claudicanti vincitori. L’Italia dei cittadini è perdente, non perché abbia prevalso questo su quest’altro (è quel che sopravvive della democrazia), ma perché non ha scelto: si è tuffata di qua e di là dopo essersi agitata per tre mesi in un impasto di rancori, rivalse, paure, individualismi, ringhianti e simboliche sferzate a cattivi veri e presunti, innocui o minacciosi per la quiete isolata di ciascuno.

Anziché l’analisi degli scenari di un governo eventuale e improbabile (stando alle dichiarazioni di ieri e a una legge  che voleva evitare certezze), guardiamo le urne non da politologi, che non siamo, ma da frammenti allo sbando di società, quali siamo.

La sfiducia – persino ira – nei confronti dei partiti e dei personaggi della politica è antica, radicata. Forse il Paese ne è stato immune – pur nelle contrapposte ideologie e forse anche grazie a queste  e alle persone che le rappresentavano – soltanto nell’aria piena di macerie ma respirabile del dopoguerra. Negli anni essa è cresciuta, alimentata dagli stessi sconsiderati protagonisti, fino a farsi disprezzo e odio, appesantiti dalla dipendenza dalle decisioni e dall’essere comunque coinvolti dal voto dato. Perfino i cialtroni del cartellino timbrato da altri scrivevano su Facebook: “Il male è nei politici”.

L’Italia che non ha più pazienza, voglia, curiosità di documentarsi e riflettere, vota in ogni direzione slogan e non programmi, fantasie scellerate e non concretezze, “prova” o approva quel che tocca il metro di raggio intorno al suo sguardo, confonde il futuro dei figli con la soluzione del proprio tremore immediato, poi grida a un tradimento che era visibile e palpabile e si lancia nella ricerca di colpevoli del malessere.

Le colpe e gli errori, le carenze o le disavventure altrui sono state la campagna elettorale: “Noi parleremo di programmi, non degli altri, perché loro…” e giù a guardare soltanto in casa d’altri. Oggi il Movimento 5 stelle è il partito più votato e dovrebbe ringraziare tre ragioni di voto. Prima quella di ferrei e ragionevoli sostenitori, talora di esaltati fedeli, quasi colti da una vocazione analoga ma meno serena di quella religiosa. Seconda è l’ira che ha individuato nei grilini i meno intaccati da anni di potere e quindi l’unica alternativa alla consuetudine con il malaffare (mafioso, bancario, ladro in proprio) indipendentemente dalle qualità delle persone, da previsioni, programmi, rimedi, provvedimenti, da inciampi giudiziari, promesse disattese, titoli di carriera fantasiosi o camuffati. La terza è un solo e unico rancoroso compito loro affidato: spazzare via i “colpevoli” della stanchezza e dell’ira, “date voi una spallata per conto mio”.

E tutto questo i principali avversari non l’hanno capito. Anziché alzarsi con orgoglio e seppur tardiva pulizia, hanno parlato soltanto di quel nemico, hanno detto chiaro – proprio loro, i bersagli dell’ira – di averne paura, ed elettori persi nella solitudine (come da solo e senza alleati si presentava il Movimento) hanno avuto la controprova: se chi vogliamo spazzar via li teme così ferocemente è perché davvero questi sono diversi, sono i nemici di chi vuol mantenere status quo e privilegi. Non si sono più guardate marce e retromarce su Europa, euro, stranieri, non si sono guardate rigorosa indipendenza e poi apertura ad alleanze, i rimborsi non versati sono diventati la piccola cicatrice che rimarca il resto della pelle: “Andate e colpite, come farei io, per ora conta questo, poi vedremo”.

Anche Matteo Salvini, più ancor che la Lega, ha vinto. Perché anche lui aveva un nemico da condividere: lo straniero. E, straniero per straniero, tale ha fatto sentire anche l’Europa dalla quale ritira lo stipendio non irrisorio. Lo hanno rincorso gli altri, Berlusconi con i 600 mila da cacciare subito dopo la vittoria, Renzi scoprendo l’aiuto a casa loro. Era come dire: ha ragione lui. Ma lui era l’originale, loro le copie. E quando appaiono gratuiti entrambi, le copie non scalzano l’originale, quella è faccenda che accade con la moda, con i prodotti che originali costano di più, tanto di più. Qui costava tutto uguale: una crocetta.

L’elettore non ha voluto badare al fatto che né Salvini né altri potranno fermare popoli in fuga: che siano profughi di guerra, famiglie devastate dalla fame, delinquenti (non ci sono soltanto spacciatori africani, vanno e vengono mafie russe e cinesi, ma quelle non ciondolano in strada). Al di là di ogni considerazione umana, chiunque veda le folle straniere in cammino o in un campo di raccolta, sa – dopo decenni di polemiche, aiuti e contrasti – che non servono muri altissimi, aeroporti blindati, leggi improvvisate e inapplicabili, gigantesche carceri che ci farebbero condanne dal Tribunale per i diritti dell’Uomo, deportazioni respinte dai paesi d’origine. Servirebbero conoscenza della Storia, dell’Economia, delle guerre del mondo, dello sfruttamento di petrolio, delle miniere e materie prime da parte degli “evoluti”, e poi delle situazioni politiche, del traffico d’armi, della corruzione internazionale sugli aiuti, e ancora la capacità di previsione e monitoraggio di colossali flussi di genti.

Chi ha chiesto voti contro gli stranieri non ha neanche tentato d’esibir competenze su tutto ciò,  nemmeno consulenti all’altezza. Ha detto: indietro, via ; e proprio un messaggio breve, secco ma inutile voleva chi ha un nemico, un simbolo della sua sventura: mio figlio non fa il muratore o l’astronauta perché ci sono loro, non ha casa perché ci sono loro (quelli ai quali bombe costruite da questa parte del mondo hanno tirato giù la casa).

Le rivoluzioni del passato le hanno fatte i poveri, guidati da borghesi, soprattutto avvocati. Chi ha mine sotto i piedi e il vuoto in pancia di là dai mari e dai monti sa sempre di più che cosa c’è di qua. Oggi i poveri del mondo sono molti più dei sempre meno numerosi ricchi (e sempre più ricchi) dei Paesi “civili” e la loro rivoluzione sono candidati a guidarla, anziché borghesi colti, profeti dalla malintesa religione e dal ben compreso senso degli affari e degli esplosivi. E a combatterli, chi dà loro le armi, manderà i suoi nuovi poveri.

L’Italia stanca – in gran parte in buona fede, non tutta in buona fede – ha seguito chi offriva colpevoli e proclami senza contenuto. Le paure – quella reale e quella indotta – hanno tracciato la crocetta: paura dei partiti, dei corrotti, dei profughi messi insieme ai delinquenti, ma anche dall’altra parte paura dei 5 stelle e paura della destra anziché fiducia in un futuro (quello vero, non quello dell’indomani pomeriggio) disegnato da candidati. Matteo Renzi e i suoi fedelissimi – insieme con la crisi di tutta la sinistra in Europa, in un mondo dove la politica è sempre più legata alla Finanza e al sovranismo – hanno pagato se stessi, il narcisismo, la sfida personale che si tirava dietro il partito. Ha detto il leader, riprendendo Montanelli: turatevi il naso e votateci. Non poteva fare peggiore sintesi e miglior regalo a chi poi nei numeri ha vinto. Se voleva passare alla Storia ce l’ha fatta: gli dedicheranno due righe per raccontare che in nome di “Io” ha sgretolato quel che c’era di una macilenta sinistra e ha dato una spinta al partito fondato dal comico, ha fatto come un muratore che di fronte a un muro che lascia veder fessure tra i mattoni, anziché inserire calce, dà picconate ai mattoni che non gli piacciono.

Un muro nessuno schieramento ha mai abbattuto: quello pervasivo delle mafie. Si temevano infiltrazioni straniere via internet nelle elezioni, nessuno ha fatto cenno a quelle non virtuali di ‘ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona unita. Le mafie, ‘ndrangheta in testa, sono del tutto apartitiche: usano gli asini che trovano. E nessuno, né perdenti né quasi vincitori, ci possono dire come evitano il contagio. La solitudine del cittadino è immutata, crescerà nella difficoltà di avere un governo (magari raccogliticcio sì, stabile no) come la legge voleva e prevedeva, forse calcolando una scappatoia annullata dal successo 5 stelle.

Intanto cresceranno inquietudine, insicurezza, paura, rancore, ira, bisogno di nemici, in una corsa senza pensiero, emotiva, rabbiosa fino a coltivare il proprio malessere cercando un nemico da abbattere e un salvatore cui donarsi. Nella Storia è già successo. Aspettando poi Europa e partigiani: meglio, aspettando un altro voto, farsi partigiani con le armi della cultura, della riflessione, dello sguardo vero al mondo che è già oltre e al futuro comune e nostro.