Il killer è appostato sul cavalcavia d’una Torino zittita dalla neve. Sbaglia il primo colpo. Finisce comunque il lavoro e, per altrui errore, scampa al destino che gli hanno preparato. Diviene preda e predatore in una scacchiera di piccola malavita e più potenti disegni, borghesia e messe nere, sorprese erotiche e candore della follia, truffe, violenze private, orrori familiari e indagini di poliziotti sbuffanti e acuti.
Ci sono ambizione, curiosità, approfondimento e una materia varia e corposa nell’inusuale, bel noir di Ivano Barbiero, Il guardiano dei Cavalieri (Fratelli Frilli Editori), “storia esoterica degli Anni ’60” che possiamo anche oggi sfiorare ogni giorno sui marciapiedi, nei negozi, dietro le porte degli appartamenti, nei giardini, nelle stazioni, nei viali, nelle questure della città.
Con una lunga pratica personale di cronista a Stampa Sera e La Stampa, Barbiero fa muovere i suoi personaggi – come un rigoroso e delicato direttore d’orchestra – tra cinismo e stupore, aridità e sentimento, sorprendendoli come un cacciatore quando si cementano nell’unico esistere che conoscono o quando si mutano nella sorpresa dei sentimenti e nell’arpione che li riconduce a una storia recente (i manicomi che imprigionavano la sofferenza) e più antica (i Cavalieri della Santissima Annunziata).
E’ lecito soltanto abbozzare la trama, perché la sua forza sta nel ruotare dei gesti e attraverso un mulinello affondare improvvisa in un nuovo girone. Stella è un killer che per un imprevisto fa emergere il passato. In una Torino sommersa dalla neve, improvvisamente lieve e pura, dal cavalcavia di corso Sommeiller l’assassino per mestiere spara a un bersaglio che scende da un treno. Ma un movimento brusco e casuale sulla banchina gli fa colpire l’uomo sbagliato. Rimedia con un’altra pallottola, ma ha ormai spostato il futuro su un binario diverso. Non ha ancora finito di metter via gli “attrezzi” quando altri tentano d’ammazzare lui. Selvaggina e cacciatori non sono più quelli previsti.
Nel tetro mondo dell’omicidio per professione entra quello della tradizionale indagine, in una città che ospita altre storie – quanto disgiunte e quanto legate? – come il ritrovamento di bare bianche vicino al cimitero Monumentale, come un inquietante monaco che si dice s’aggiri celando anomalie del fisico. Se fin dall’inizio il lettore si muove nelle notti con l’occhio e i pensieri di Stella, ora presta l’altro occhio a un commissario e al suo vice, che giocano d’intuito e pazienza tra i fatti e gli archivi di carta. Fino a raccogliere i personaggi nei meandri dell’antica Certosa che custodisce imperscrutabile follia o vite esiliate, cacciate dal diritto ad esistere ed esprimersi.
I cuori e le menti di uomini e donne, avidità e credenze, autoassoluzioni e riscatti, solitudine e slancio si incrociano, si urtano, si compenetrano nella fotografia animata di una città che pulsa ancor più disperata nel silenzio innevato, dal quartiere di San Salvario alle suorine della messa notturna, da grida e mutismi del manicomio di Collegno ai funghi blu delle volanti che scaldano le facciate di case sprangate, dall’oscurità in cui si muovono i rapaci dell’occulto alla luce dei celebri dipinti che anticipano il misterioso monaco. Ivano Barbiero accoglie un arcipelago di solitudini e ne fa coro in un noir che ha per colonna sonora la fragilità della violenza e la potenza del candore.