Uccido o umilio, offendo o sfrutto. E a volte filmo quel che faccio, o ne offro ad altri un beneficio. Trascinato da cinismo e ignoranza? Soprattutto dal vuoto.
Cinque storie pescate in 24 ore nella cronaca, senza legame fra loro.
1) Un uomo cammina appoggiandosi a un bastone. Mentre uno filma, altri gli portano via il sostegno. Prima ancora di pensare a famiglie e scuole, pensiamo al gesto: può cadere, battere la testa, morire; se ciò non accade, rimane solo, umiliato, disperato, in strada. Su questo episodio si può imbastire un dibattito, si può scrivere un saggio di sociologia. Ma quel che è lampante è la totale assenza di un prima e un dopo: quei ragazzi non hanno pensato ad altro che al gesto e alle immagini da mettere in rete, non hanno pensato nemmeno che dalla rete sarebbero risaliti a loro.
2) Un agricoltore in Sardegna ammazza a colpi di forcone una volpe. Possiamo ragionare – ragionare non è giustificare – sull’esasperazione, sull’ira crescente, sulle ripetute razzie, sul colpevole che è li davanti, su una spontanea reazione seppur spropositata con quel che si ha per le mani, una cecità che infierendo scarica accumulo e pressione. Ma lo fa mentre è ripreso, mentre confessa. Nella sua povertà economica e mentale, quest’uomo compie un gesto come quello di Spada che dà la testata al giornalista: vuole che si veda, che si capisca la sua forza (neanche le volpi passassero il tempo a guardare internet).
3) Uno studente irrequieto e a quanto pare dalle notizie già ripreso per i suoi comportamenti spinge un compagno e gli fa lo sgambetto. Questo reagisce. Ma come? Non con maledizioni o una tempesta di cazzotti: prende dallo zainetto un coltello a serramanico. Lo porta appresso come il prolungamento eroico di sé. Dunque tra offesa e reazione passa il tempo necessario per arrivare alla determinazione.
4) A Sciacca – e poi in atri centri della Sicilia – in breve tempo sono avvelenati oltre quaranta cani randagi. In questo orrore c’è una determinazione più lucida, premeditata, precisa, riflessiva: in rete finiscono le immagini scattate da chi trova i cadaveri, chi ha ucciso non ha commesso l’errore di esibirsi. Ma per colpire il suo obiettivo ha avuto il buio mentale di tenere in casa e poi seminare qualcosa che poteva devastare tra le urla e uccidere un bambino di tre anni pieno di curiosità. Il gesto tremendo era fine a se stesso al punto di non prevedere altro che un solo scopo.
5) A Milano un medico che ha lavorato in una importante struttura per la lotta contro i tumori, si procura un indirizzario di pazienti – vivi o morti è indifferente, ci sono i parenti – e manda lettere che invitano a votare un candidato alle elezioni che sta a cuore a lui. Non è un ragazzino, non è un ignorante esasperato, non è un mafioso. E’ uno che il cancro degli altri lo ha “maneggiato” per mestiere e per mestiere ha incontrato ansie, dolori, speranze. Quel prima non c’è, e non c’è neanche il dopo, quando ti chiederanno schifati: come ti permetti di “usarci”.
Sono cinque storie diverse, con un orrore comune: la totale assenza di pensiero, la vita non come un film ma come un album di istantanee, l’isolamento mentale di ciascuno, il non essere un pezzo di società (forse nemmeno di una famiglia, di un’amicizia). Se non partiamo da qui, dal nulla, dall’assenza di vita di chi ci passa accanto, di chi prende il caffè a mezzo metro da noi, di chi urla o strombazza perché evitiamo di investire il lavavetri, non troveremo mai risposte, dure o educative che possano essere.
Forse chi ha ucciso quei cani non ha mai provato a stendere la mano e vedersi seguito dal primo essere che si fida di lui (o crede illuso che si fidino i parenti stretti?), forse quel medico non ha mai provato a buttar lì un “come si sente” riferito ai pensieri anziché al corpo, forse lo studente non ha mai visto un prepotente annichilito da uno sguardo di disprezzo. Forse quei ragazzi dell’assalto al bastone non hanno mai visto un adulto rallentare di fronte a un uomo o una donna in difficoltà. E’ questo che sempre più abbiamo intorno, questo tanti ci soffiano addosso (per un voto o per un successo), questo cerca di incunearsi sotto pelle: un io isolato. E sempre più gente s’accorge di non esistere, per esistere ha bisogno del pianto o dell’umiliazione degli altri. E si fa il contrario di quel che scriveva Irène Némirovsky in I cani e i lupi: “Porsi nei confronti della vita come un generoso creditore e non come un arido usuraio.