Il destino in una mano, nell’altra la vita

“In genere il destino si apposta dietro l’angolo, come un borsaiolo, una prostituta o un venditore di biglietti della lotteria. Ma non fa mai visite a domicilio. Bisogna andare a cercarlo”, ha scritto Carlos Ruiz Zafòn in L’ombra del vento. O forse prepariamo noi la strada ai suoi artigli?

Una vita sul crinale adesca la propria sorte in Il destino dell’avvoltoio (Edizioni del Capricorno) di Giorgio Ballario, romanzo già diffuso in anteprima con La Stampa e da oggi in libreria. Un noir dove la corsa degli eventi, l’intrico di cinismo e cuore ritrovato si dibattono in meandri e ombre impietose.

Fabio Montrucchio è un avvocato ai margini della professione, un “paraurtista” che s’insinua in Pronto Soccorso, avvicina feriti e parenti, si spaccia per legale dell'”Associazione vittime della strada” per arpionare un incarico. Il resto del suo lavoro è routine di truffe alle assicurazioni: finti scontri, testimoni fasulli, medici compiacenti. Meschino il lavoro, sdrucita l’esistenza come la cartella di pelle che ne pare il simbolo: disprezzato dai colleghi e dall’ex moglie, lontano da un figlio al quale nemmeno riesce a garantire l’assegno mensile, trascina ogni giornata verso l’indomani tra incursioni nelle altrui disgrazie, sussulti di piacere con prostitute, bische e usurai, alcol e hashish per offuscare la desolazione.

Nel suo balordo trascinarsi compare Irina, infermiera moldava: tanto è  squallido il primo impatto altrettanto è ristoratore il rapporto che nasce mentre divampa la deriva. Un debito di gioco, quasi irrilevante, risucchia l’avvocaticchio in un’altra partita, questa irreversibile: generosa e amichevole, la mano che lo soccorre è quella della ‘ndrangheta, che in cambio chiede soltanto uno dei suoi abituali lavoretti, una cosa da niente. Ma l’uomo ai margini adesso è al centro: è in un groviglio di violenza e sangue che attraversa l’Italia da Nord a Sud e rischia di spazzar via chi in qualche modo è legato a lui. La battaglia quotidiana per sopravvivere diventa guerra per vivere.

La corda tesa della trama vibra in ambienti, rapporti umani e criminali, tuffi ciechi nell’esistere e prese di coscienza. Giorgio Ballario è giornalista alla Stampa, scrittore di noir (tra gli altri, Morire è un attimo) ed anche accorto e brillante biografo (Vita spericolata di Albert Spaggiari). Il giornalista addentro alla cronaca nera percorre ora con il narratore una Torino doppia, di superficie e di oscure profondità, una città confusa, multietnica, avvezza alle immigrazioni ma turbata (Montrucchio appare lui un integrato tra gli immigrati), popolata da una sopravvissuta e romantica malavita e dalla ferocia di quella organizzata e ovunque infiltrata. Una città di viali e chiese, lungofiume notturni e periferie sempre meno industriali, movida e retate di polizia, Uffici giudiziari e osterie appartate. Una città che avvolge, espelle, placa, aggredisce, conduce, deforma chi ne calca le vie.

Città e personaggi respirano insieme, come nella Milano di Scerbanenco. La città accoglie, torce e dilata il pensare, soffrire e colpire dei personaggi, soprattutto di quel Montrucchio tanto spregevole quanto bisognoso d’umana comprensione mentre sul precipizio di cui è artefice annaspa per salvar non soltanto la pelle ma la riscoperta potenza dell’affetto. Tra stazioni, marciapiedi, papponi e pusher, ricettatori d’antica tradizione e killer di  marmo, Ballario scolpisce il cammino di un uomo tra dignità perduta, guizzo di rinascita e il destino appostato.