In trattoria il 4 marzo 2018

Il 4 marzo 2018, un signore educato e timido attraversò la strada dov’era la trattoria. C’erano passanti sul marciapiede, ma incerti e muti, non più la gentaglia dei mesi e giorni prima, che ammassata e urlante sembrava ripetere una sola cantilena, seppur con toni diversi, interrotta di poco in poco dai gridi di rapace di qualche insofferente.

Aprì la porta, entrò. La bettola era sporca e rumorosa, puzzava di cavoli marci. Era un impasto di gente che si abboffava seduta, in piedi, voltata all’indietro, ginocchioni, culo per aria e gomiti in bocca al vicino. Ma non c’erano altre osterie in città. Il signore educato e timido alzò le spalle fino alle orecchie e si convinse: “Uno schifo mai immaginato, però mangiare devo, per il bene mio. Qualcosa di passabile troverò, un solo piatto, il meno peggio”.

Si mise seduto, con garbo e rispetto, allo spigolo d’un tavolone già occupato, dov’erano rovesciate birre e dove giovanotti ebbri sparavano in giro grappa con le cannucce. Un cameriere passò dietro le sedie, rubò una giacca, due golfini di signore avvinazzate, la sciarpa d’un finto cieco che si trattenne dal reagire e li portò nel retro. Tornò quasi subito, afferrando con mal gesto qualcosa dal banco-bar e venne diritto a lui. Gli sbatté davanti una cartellina grigia e nera strisciata da bave sanguigne, un incontenibile sputo di sugo indigesto. “Come si permette? per chi mi ha preso?”, stava per scattare l’uomo, benché educato e timido, ma rifletté: “Mi ha preso per quello che sono: uno che non ha altra scelta”.

Si rannicchiò nel suo angolo e con prudenza sollevò il rettangolo unto e maleodorante. Lo aprì. Mancava qualche pagina, chissà se portata via dai Nas o strappata da un cliente balzato di fretta agli scalini dell’antro dietro il bancone. Oltre che educato e timido era un uomo molto ragionevole: “Prenderò la meno porcheria, ma qualcosa dovrò pur prendere”. Si dedicò a leggere, attento e diffidente, deluso e speranzoso. Scorrendo ogni singola parola – parole eleganti, in contrasto con luogo, avventori, cameriere, muri, tavoli – sentì risorgere il suo testardo ottimismo: “Bene. Ce la faremo anche questa volta”. E si fece attento:

Miceli di antico pane sul loro cuscino di emesi. “Bene, interessante. Si direbbe una bruschetta”. Ma in modo ancor strisciante qualche parola evocava i libri di scienze della scuola e perfino, forse, i bugiardini delle medicine che prendeva lo zio. “Comunque c’è scelta, c’è dell’altro, vediamo”. E proseguì:

Lunette dorate di muridi. “Forse meglio, meno ambiguo, meno oscuro, probabilmente uno spezzatino impanato. Di carne o di pesce? Si mangia la murena? Ma è poi la murena? Quei muridi… già, muridimuridi… “che accidenti è  muridi? Nel dubbio, lasciamo andare, vediamo dopo”:

Paillard-délice su salsina di sewer. “Visto? basta aver pazienza e saper cercare. Per male che vada ho trovato”. Sorrise intorno, ma non uno s’accorse di lui. Chissà quella salsina… Sewer… Sewer non gli veniva in mente. Inglese? Tedesco? Francese no: “Peccato, tedeschi e inglesi sono un po’ strani nel cibo. Comunque sia, questa è la più affidabile”. Rassicurato, andò avanti per curiosità:

Ordures de taverne avec sable e gravier. Anche lì non c’era male, anzi sempre più sul raffinato. Meglio scegliere bene, figurati se in un posto così ti cambiano il piatto quando si rivela una brutta sorpresa. Tirò fuori dal taschino il cellulare e, senza dar troppo a vedere, cominciò a cercare su Google quelle parole, ripartendo da capo, per non sbagliare l’unica scelta. Nessuno fece caso al volto che impallidiva, agli occhi che frugavano sgomenti e tornavano al telefono, allo stirarsi in fronte delle simpatiche rughette da lettore puntiglioso, via via che sotto le belle definizioni dei piatti scopriva carni di topo, muffa, sabbia, ghiaia, rifiuti e peggio ancora. “Vediamo anche questo, così, soltanto per farmi male”, borbottò. E sbirciò il dessert:

Gouttes de broches sur  un petit  lit de vers. Non ne aveva più cuore, ma controllò.  Spostava lento, come rassegnato, gli occhi dalla cartaccia al telefonino, dal telefonino alla cartaccia, dalla cartaccia al cameriere, vedendogli guizzare di bocca a ogni parola una goutte . “Cerchiamo di essere razionali”, si disse, “se non mangio per niente finisco in rianimazione, ma se mangio alla rianimazione non ci arrivo neppure”. Uscì.

La gente fuori adesso gridava, agitava le braccia, dava di ladri bastardi e assassini ai ristoratori, però si spintonava per entrare. L’uomo educato e timido si alzò e camminò lento verso il 5 marzo, solo. Uscì dalla strada, uscì dal quartiere, uscì dalla città mentre la nebbia compattava il buio della sera .