Chi ha governato, poco o tanto, in vista di elezioni elenca fiero quanto ha in programma per il benessere di tutti (soprattutto via le tasse e spari liberi) o quanto di buono ritiene d’aver compiuto nei giorni e negli ambiti (nazionali o locali) del suo potere. Quel che ha mancato è ovviamente colpa degli altri, del prima, della magistratura.
Prendiamo come esempi due Mattei: Salvini e Renzi. La Lega ha avuto ministri della Giustizia (Castelli) e dell’Interno (Maroni) e ha per cavalli di battaglia la mai risolta sicurezza e la necessità di una legittima difesa fatta di rivoltellate e fucilate più libere e andanti. Suggeriamo una breve lettura: “Si parla quietamente di ladri di polli che infestano la zona, si discute senza accalorarsi che sia o no il caso di ammazzarli sorprendendoli sul fatto. Uno di questi ladri, racconta il figlio del mezzadro, tempo fa, scoperto, ha ucciso la moglie di un contadino delle vicinanze. Allora è proprio il caso di sparargli addosso, dicono il fratello del mezzadro e il figlio che ha raccontato il fatto, tirando proprio ad ammazzarli, mentre il mezzadro è dell’idea di sparargli sulle gambe in modo di dargli una lezione. Già, dice l’altro, e se quello ti spara addosso prima? Bisognerebbe arrestarli e mandarli tutti all’Isola; ma il guaio è, conclude il mezzadro, che è difficilissimo individuarli e arrestarli; e se li arrestano dopo pochi mesi sono di nuovo fuori e ricominciano”. Non è la trascrizione di una serata televisiva di Belpietro o Del Debbio. E’ un racconto di Ercole Patti (egregio scrittore dimenticato) tratto dalla raccolta L’incredibile avventura di Ernesto. Pubblicato da Bompiani nel 1969.
L’altro ritornello viene da Matteo Renzi: perfezioneremo il già fatto, cioè un interminabile elenco di provvedimenti presi con successo e sicura soddisfazione condivisa. Ammoniva William Shakespeare in Coriolano: “Il potere infatuato di se stesso non ha una tomba più certa che la sedia su cui sale per vantare ciò che ha fatto”.