Tempesta di denunce per molestie nel mondo dello spettacolo, tutte a distanza dal fatto, tutte sui media. Stillicidio di denunce firmate da sconosciute operaie, impiegate, disoccupate in cerca d’un posto, tutte in silenzio, tutte in caserme e Procure.
Nessuno mette in dubbio paura, vergogna, sofferenza che frenano la reazione dell’attrice che all’inizio tace. Ed è comprensibile che la notizia di colleghe che escono allo scoperto allenti la solitudine e accenda coraggio, Ma una differenza resta: le vittime senza fama vanno da carabinieri, polizia, magistrati, le donne del set vanno dopo mesi o anni da settimanali, programmi tv, social network.
In molti racconti americani come italiani di questi due neri mesi sono ben spiegate le ragioni che spinsero a tacere. Domandare il perché dell’attesa a parlare non significa incredulità. Non si mette in dubbio a priori la voce di chi addita e non si deve mettere in dubbio a priori nemmeno quella di chi si difende (anche di fronte ad atroci omicidi il ritornello è: innocente fino a sentenza definitiva). Ma la totale assenza di una o due reazioni immediate fra le tante tardive spicca rispetto al resto della società.
Ecco un breve viaggio nelle pagine dei quotidiani. Nel Varesotto un’operaia porta davanti al pm il neopromosso ed esuberante caporeparto. In provincia di Bergamo una sedicenne chiama la polizia per l’adulto che la tallona da scuola al bus e sul bus allunga le mani. Ad Asti la dipendente di una cooperativa spedisce a Palazzo di Giustizia un superiore. A Salerno, a Vicenza e nel Cuneese studentesse denunciano insegnanti. A Palermo un’impiegata denuncia un dirigente della Regione e sempre a Palermo un’infermiera accusa il medico. A Roma una trentanovenne va al colloquio per un posto di badante, esce e va dai carabinieri.
Anche qui sono in gioco presente e primo futuro e la reazione è immediata, nello spettacolo mai. Spunta un identikit, che poi divampa in un nome, come accade ora per Brizzi, e si forma la coda, come davanti a una vetrina o a un botteghino: più gente c’è più se ne aggiunge. Questo non vuol dire dubitare di ogni singolo racconto, di ogni ricordo lontano nel tempo, ma stupirsi dell’assenza di uno, due episodi di reazione simili a quelli della società più umile. Non significa parteggiare per i presunti innocenti in nome del genere maschile. Quanto ciò sia idiota lo scriveva già Stendhal (Il rosso e il nero) nel 1830: Julien Sorel riflette sul signor de Renal al quale sta rubando il cuore e le notti della moglie e, provando quasi simpatia per il nemico vinto, osserva: “Nella mia condotta c’è della grettezza borghese: la mia vanità è irritata perché il signor de Renal è un uomo! Illustre e varia corporazione alla quale io ho l’onore d’appartenere: non sono che un imbecille!”.
Non è maschilismo confrontare attacchi corali mediatici con il coraggio solitario di tutte quelle sconosciute dalla vita umile e senza fans e senza profili in rete che volta per volta, spaventate e umiliate, hanno parlato negli uffici della Giustizia e soltanto da qui sono rimbalzate ai media, sapendo che perdere in quel modo un posto da badante è senz’altro più terribile che perdere un angolo del set, un numerino sotto i like.
A colpire in modo fastidioso è che in una sola categoria si scatena un impetuoso fiume tardivo ed extragiudiziale che sembra voler dar conferma al radicato assioma di spettacolo-letto che per anni ha voluto ad ogni costo vedere puttane e mai vittime. Assioma smontato per fortuna da donne dalla bella carriera e ben desiderabili come Milly Carlucci: “A me mai successo”.
Operaie, badanti, impiegate con la loro firma davanti a un pubblico ufficiale (dove se si mente il rischio è la calunnia, art. 368 codice penale, reclusione fino a sei anni, che possono aumentare in alcuni casi) colpiscono in fronte qualunque forma di maschilismo o connivenza maschilista. Invece questo vortice di “anch’io”, “anche a me”, di mezze reticenze e di graduale rivelar nomi diffonde un effetto polverone. Un polverone che si fa pietra ancora più pesante se la molestia era un’avance (per quanto sgradevole e sgradita), se di mezzo c’è un innocente: e parlare d’innocenti non è una bestemmia, accade anche per alcune denunce di stupro da strada (una scusa per il fidanzato, la paura della prima visita ginecologica accompagnata dalla mamma).
E il polverone, anziché indignare, trasforma sensibilità, condivisione, indignazione in un gioco di società o in uno spettacolo per voyeur. sgretolando la gravità che ogni giorno umili donne con fatica svelano, loro sì con coraggio e stile.