Dopo la provocazione Sicilia, un test per i candidati, sono giunti garbati rimproveri su due punti: pretendere cultura letteraria da parte degli uomini politici e aver trascurato alcuni nomi fra quelli suggeriti per saggiare i futuri amministratori.
Da Messina Luisa Vitale scrive: “Non è detto che per ridurre i 24 mila forestali sia necessario conoscere la letteratura del luogo, così come non è detto che un esperto di narrativa o poesia sappia mettere le mani su un bilancio disastroso”. Da Milano Filippo Bruno fa notare: “A parte la totale assenza dell’Arte (uno per tutti Renato Guttuso), colpisce la dimenticanza di un nome e di un’opera ampia, complessa e impegnata come quella di Leonardo Sciascia”.
Le due osservazioni sono ineccepibili. Ma una spiegazione c’è. Quanto al rapporto cultura-politica, non si vuol valutare tout court la capacità di un amministratore pubblico attraverso i libri che ha letto o le date storiche che ricorda o i musei che ha visitato. Si parlava infatti di “conoscenza” e “amore” per la Sicilia. I nomi e le opere citate – e qui entriamo anche nel merito della seconda tirata d’orecchie – erano esempi di vite e pagine che affondano il cuore nell’isola e ne svelano il divenire. Comunque soltanto esempi scelti con una punta di perfidia fra tanti, alcuni facili (con un tranello nella domanda) e altri un po’ meno presenti nella consuetudine delle chiacchierate quotidiane.
All’idea di esempi sparsi erano legati i nomi. E proprio per non fare un test di cultura generale si è lasciata fuori l’arte, per la quale si sarebbe potuto partire da Antonello da Messina (aiutando con quel Messina e ingarbugliando con domande successive).
E’ difficile che un siciliano non conosca Leonardo Sciascia e, almeno, Il giorno della civetta. Qualcosa si poteva chiedere a proposito di Porte aperte o Il contesto. Ma, una volta “giocato” con Sciascia, come lasciar fuori Elio Vittorini, Ignazio Buttitta, Stefano D’Arrigo, Sebastiano Addamo? E anche adesso l’elenco non è completo, né dei nativi né di chi nativo non era (anche De Roberto era nato a Napoli) come Danilo Dolci, “immigrato” in Sicilia a inizio Anni ’50 e alla Sicilia e ai suoi problemi così legato.
Per la maggior parte dei candidati forse c’era già abbastanza occasione d’imbarazzo così, ma i due rimproveri sono i benvenuti, perché oltre tutto danno la possibilità di ampliare il ricordo con personaggi e opere, una biblioteca che racconta, spiega, fa luce su una lunga storia travagliata e insieme cementa un amore per una terra.