Lo scontro sui vaccini e su decreto si è giorno dopo giorno allontanato dal dibattito sulla salute del singolo e, attraverso lui, della collettività. E’ diventato l’assedio a un potere arroccato, indipendentemente dalle ragioni d’una parte e dell’altra.
Si è esteso in rete un movimento non soltanto contro l’obbligatorietà ma contro i vaccini in sé, movimento popolato da anime interessate ai riscontri medici e da altre ideologiche o pervase di emotività. Di contro si ergeva e si erge una comunità scientifica (e industriale) che oppone cifre e statistiche mondiali poche volte con calda convinzione, più spesso col cipiglio di chi nella sua superiorità è infastidito dall’altrui arretratezza culturale. Sopra tutto ciò si è mossa e si muove in modo ferroso una politica incapace di dialogare e convincere delle esigenze, pronta a usare i social per parlar di sé e pronta a disprezzare l’onda che fa dei social il colossale veicolo che sono per tutti.
Sentimenti confusi – la paura della minaccia ignota soprattutto – sono deflagrati di fronte a un’imposizione la cui legittimità non è stata trasmessa con passione ma con gelida supponenza. Soprattutto da qui è venuta la ribellione senza aperture. Gli anti-vaccino hanno letto in casi singoli la menzogna delle cifre generali e ne hanno fatto emblema (eppure non si schierano contro la chirurgia tout-court dopo che qualcuno, senza errore medico, muore per le complicazioni di un intervento di routine). Ma hanno riconosciuto a questi casi singoli valore emblematico perché scienza e politica hanno contrapposto bassissime cifre di bambini “danneggiati” senza tener conto che quei bambini erano o sono vite, ciascuna un’immensa tragedia e non pura casistica. E la paura fa gonfiare anche notizie incerte. E respinge: prima ancora del rischio, cerca d’allontanare l’imposizione a correrlo per forza, per quanto raro e remota possa essere. E’ stato come gridare in faccia a gente spaventata: anche soltanto uno sventurato ogni milione è un rischio da correre, a chi tocca tocca.
E’ su quest’ansia che il governo si è seduto come un occupante anziché un custode, un occupante pronto al sacrificio casuale al fuoco amico. Non ha saputo guidare medicina e industria a indagare pubblicamente il cuore delle cifre, a sviscerare con chiarezza tipi di rischio, possibilità di monitorarli e di intervenire. E’ così che l’obbligo, per quanto ritenuto indispensabile, suona come galera anziché regola, portando l’eco di Curzio Malaparte quando scriveva che lo stato totalitario “è uno Stato dove tutto ciò che non è proibito è obbligatorio” (La pelle).
E’ assurdo mettere in discussione, nemmeno da parte di molti accaniti nemici, l’importanza e il beneficio storico del vaccino (basti pensare alla poliomielite), ma si doveva e si deve tener conto di un buio che facilmente si alimenta e si fa panico. Parliamo ogni giorno di panico da terrorismo e contro il terrorismo ogni giorno invitiamo a non disertare piazze e concerti, ma poi la realtà, come a Torino, ci svela che il panico è lì, latente, pronto a scatenarsi senza che intervengano esaltati armati.
Il tono dello scontro spinge altrove i dubbiosi. Le prove di forza aumentano le reazioni. Ha fatto questo, in senso contrario, il proibizionismo con l’alcol. Lo fanno muri e violenze contro i profughi: vogliono alimentare odio e finiscono per accendere improvvise pietà. Immaginiamo che il Parlamento disponga “vaccini non obbligatori, ma per tutti a pagamento”: anche gli incerti si unirebbero alla rivolta. Al posto del dibattito scientifico aperto e trasparente anche nelle, per quanto rare possano essere, punte insanguinate, hanno trionfato Verità assoluta e alterigia generando sfiducia, timore, rivolta. Dovevano essere i difensori del vaccino a dilungarsi sui casi da loro accertati di una relazione tra questo ed eventuali danni.
Per chi grazie a un vaccino si è risparmiato morte o dolore, per chi dopo un vaccino ha conosciuto sofferenza, per chi senza un vaccino si è piegato nel silenzio, per tutti valgono le parole di Italo Svevo (La coscienza di Zeno): “La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati possiamo sapere qualche cosa di noi stessi”.