“Da vent’anni ho avuto un cane dopo l’altro, ti dico io come si fa”. Conosciamo tutti un “esperto” prodigo di consigli, talora con la casa ridotta a campo di battaglia, talora con una mano bendata dopo un morso, o ferito dopo esser stato trascinato sul marciapiede.
Al fai da te infarcito di stereotipi, luoghi comuni, convinzioni bislacche, involontari autogol, cerca di rimediare – o, meglio, lo anticipa – Franco Fassola, veterinario specialista in Medicina comportamentale con Aggiungi un posto in famiglia (Mariotti), rivolto a chi vuole accogliere un cucciolo ma utile anche a chi l’ha già portato a casa e lo guarda crescere fra sorprese e bizzarre situazioni.
Ai comportamentalisti ci dobbiamo avvicinare con umile pazienza: gli “psichiatri dei cani” quasi sempre strizzano il cervello nostro e ci dimostrano che da qualche parte abbiamo sbagliato noi. Fatto è che hanno ragione, perciò Fassola prova a risparmiarci l’umiliazione raccontandoci prima che il cucciolo arrivi che cosa non sottovalutare, a quali radicate caratteristiche badare, ricordandoci che per il benessere del cane e nostro è meglio aver presenti condizioni ambientali e psicologiche, disponibilità di tempo e attenzione. In questo cammino scopriamo quanto siano un accidente le certezze assolute dell’amico “so io come si fa”.
Per introdurre i criteri di scelta, il libro parte dalla discendenza del cane dal lupo. Che non è affatto ovvia, ma serve a trovare, fin dalle regole del branco e di come l’animale selvatico si è avvicinato all’uomo, le motivazioni innate nel suo agire, poi affinate nella selezione delle razze, motivazioni (che siano predatorie o territoriali, possessive o collaborative) che per quanto ben gestite influenzeranno il rapporto con persone, con animali d’altra specie, con il cibo o con il gioco.
La scelta del cucciolo (d’allevamento o di canile) non può ridursi a canoni estetici, tenerezza, generiche aspettative. Sarà tutto più semplice se si conoscono il carattere e l’indole della razza (dei genitori, se è un meticcio), lasciando da parte le facili associazioni (grande e grosso, ottimo per la guardia), ma anche se si riflette sulla struttura della propria famiglia, sul tempo a disposizione per occuparsene, sull’ambiente. Fassola ci accompagna nella nuova quotidianità: il rapporto col cibo, il luogo dove metter le ciotole, il problema dei suoi bisogni (neanche i bambini all’inizio controllano l’urgenza), l’auto, le vacanze, l’arrivo di un neonato o di un gatto o un coniglietto.
Proprio in questo cammino cadono convinzioni radicate. Annusa e non mangia? Pensiamo sia malato, o triste, o che il sapore non sia gradito: può essere, ma può essere anche colpa della sistemazione, o dell’odore più che del sapore (il cane segue più l’olfatto che il gusto). Ci stupiamo della signora che, dopo un po’ di coccole al suo cucciolo, lo sottrae al nostro entusiasmo: cafona, è un animale d’oro? teme che lo roviniamo? E’ saggia: l’eccesso di estranei è un’invasione che può generare insicurezza. E poi il tassativo “se fa i bisogni in casa sgridalo subito”: serve a convincerlo che deve farla quando non lo vediamo, l’atteggiamento ha da essere tutt’altro. Ancora: “non vuol salire in auto? ce lo metto, si abituerà”: sì, a morderti, l’abitudine all’auto, a un trasportino sono passaggi graduali e semplici. Poi i disastri (tappeti, coperte, carta fatti a pezzi), irruenza verso ospiti e animali. Certo, non tutte le regole sono facili da attuare. Se per esempio poco dopo il cagnolino arriva anche un neonato, si dovrebbero contenere le orde di parenti. Ma chi glielo spiega? “Tu non puoi venire, oggi son già venuti in troppi”. E, quelli, chiusa la telefonata, faranno tam tam: “Tengono più al cane che al figlio”.
In queste pagine si ha conferma che non è difficile accogliere un cucciolo, ma è impegnativo, che le basi si gettano non agendo emotivamente, ma con accortezza e pazienza, senza imporre un padrone a un esecutore di regole, bensì creando e agevolando uno scambio che il cane è ansioso di vivere. Accompagnare ed educare non significa cedere, ma guidare, ricevere e dare nel rapporto con quell’amico che, in Il bazar dei brutti sogni, Stephen King ha definito: “Un briciolo di beatitudine”.