Siamo circondati dagli chef televisivi come i pellerossa dalle giacche blu: nei talent annusano schifati le fatiche dei concorrenti e cinque minuti dopo in uno spot promuovono cibi confezionati da ipermercato o gabinetti. Nel corso dei secoli s’è mangiato – secondo il ceto e i mezzi- per vivere o per diletto, adesso si mangia per moda. Ma l’antico piacere, scevro da logiche d’immagine e tendenza, sopravvive. Si tratta di scoprirlo.
E lo riscopre, senza nostalgie di maniera e senza compiacimenti, Vanni Cornero, giornalista esperto di Economia e, con passione, di Agricoltura. Tra vetuste sale, cucine, storie di famiglie, ha incontrato protagonisti, sapori, senso genuino della convivialità e bizzarre, eroiche, tenere figure. Questo viaggio ha raccolto in Per strade e osterie (edito con orgoglio locale e globale dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti). Non è una guida enogastronomica e nemmeno una gettoniera di encomi: è la costruzione, pietra su pietra e padellino dopo padellino, della volontà, la passione, l’umanità, l’ingenuità e l’arguzia d’un pezzetto di Piemonte indaffarato in cucina o seduto a tavola. Esploratori del gusto (e, perché no? della piccola impresa) e della gioia di condividere offrono un tronco di passato che non soltanto sopravvive ma che dalla potenza delle sue radici e dall’alto della sua nobiltà osserva con paziente distacco il luna park delle mode.
Figure pittoresche, tovaglie, cibi, commensali. Cornero lascia parlare gli artefici di un pezzo di storia collettiva, lascia parlare muri e mattoni, antiche scale di cantine, grandi banconi per grandi bevute (banconi sorprendenti per i tempi), lampi di genio e di occasionalità d’un pescatore, passione d’un vignaiolo, compattezza d’una famiglia. E lascia che a fornire gli arrangiamenti alla loro partitura siano apparizioni della Storia, della Letteratura, dell’Antropologia, da Platone a Brillat-Savarin, da Ippolito Nievo a Mario Soldati e Giorgio Bassani, con pennellate dello psichiatra Alessandro Meluzzi e del nutrizionista (non integralista) Giorgio Calabrese.
Gli chef di oggi sono categoria fondamentalmente maschilista e già nel ‘700 Jonathan Swift ( quello dei Viaggi di Gulliver) scriveva in Istruzioni ai domestici: “Non ignoro di certo che s’è diffusa da tempo la consuetudine di ingaggiare cuochi di sesso maschile, in genere francesi; (…) ma mi rivolgerò a te, signora cuoca”. Come lui fanno in queste pagine le grandi figure della tradizione astigiana, consegnando la gloria alla paziente e fiera creatività delle consorti in cucina. O quando il titolare e cuoco maschio non si racconta come “capo” ma come tutt’uno con i fratelli e il personale in sala.
Per strade e osterie non rimpiange e non esalta, non traccia mappe, non dà giudizi, non insinua consigli. E’ il sorriso di una lunghissima serata fra tavoli, mattoni delle volte, racconti di fatiche e riprese stampate nei volti intorno a un tavolo di legno con piatti, bicchieri e musica di voci.