“Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tornando a sera / Il cibo caldo e visi amici: / Considerate se questo è un uomo”. Il monumento poetico scolpito da Primo Levi non proseguiva con “ricordatevi ogni tanto”, bensì con “meditate che questo è stato”. Meditare significa intendere l’essenza, unica strada per evitare il ripetersi. A questo serve il Giorno della Memoria: tenere accesa la coscienza portandosi dentro l’eco l’indomani e l’indomani ancora e ancora. Non soltanto dimenticare, ma anche dare per superato e lontano un passato significa dissolverne il monito.
Può risuonar facile e perfino retorico individuare nel presente specchi più o meno ampi di quel che “è stato”, ma la memoria è il filtro che evidenzia e spezza le derive. Piangiamo l’orrore nazista, il genocidio, la persecuzione di ebrei, testimoni di Geova, zingari, omosessuali (e la deportazione di militari dopo l’armistizio), ma diamo per scontati e non arginabili massacri sistematici e mirati sparsi per il mondo, a meno che non si avvicinino troppo, come avviene con la Siria e il dibattito fra potenze mentre impazza la fuga verso il “nostro” nord.
Inorridiamo di fronte alle torture di allora. E inorridiamo d’improvviso oggi per le torture che hanno ucciso Giulio Regeni. Ma se si ascolta fino in fondo il corpo devastato di Giulio lo si sente urlare che a straziarlo è stata in Egitto – come accade in tantii paesi – una consuetudine, una prassi di tortura, pratica appena giudicata utile per la difesa dal presidente eletto degli Stati Uniti (grande Paese fiero dei diritti fondamentali dell’uomo, esclusi ovviamente negri e pellerossa nel passato, musulmani non miliardari oggi).
Nel Giorno della Memoria abbracciamo chi è riuscito a sfuggire alle sevizie, alla fame, alle docce di gas e ai forni. Ma chi è sfuggito non l’ha fatto con un volo low cost: ha tagliato l’Europa trascinando i piedi, la miseria, la vita residua e la disperazione. Dopo Se questo è un uomo Primo Levi ha scritto La tregua, pagine di cammino, treni, caserme, Croce Rossa, campi di smistamento, richieste d’aiuto in lingue estranee l’una all’altra. La differenza è che quegli internati, fuggendo, tornavano a casa, quelli di oggi, lungo i loro itinerari dolorosi (trafficanti di uomini, donne stuprate, bastonate, aggressioni finite in bocca ai pescecani) lasciano, costretti, le loro misere stanze e vengono a sporcare gli zerbini delle nostre “tiepide case”, e allora non conta più quale fuoco ne insegue la corsa.
Invocare, con il Giorno della Memoria, buonismo incondizionato, accoglienza purchessia svierebbe dal ricordo e sarebbe retorico e utopistico: ridotti come siamo e come ci hanno ridotti i nostri rappresentanti (economicamente e umanamente) non siamo in grado di permetterci braccia allargate senza limiti (però siamo in grado di creare il business mafioso dell’assistenza). E non siamo attrezzati ad accogliere dignitosamente e senza contraccolpi perché non abbiamo voluto guardare e capire quando il fenomeno si annunciava gridando. Umberto Eco spiegò più di vent’anni fa il cupo futuro degli esodi d’interi popoli e gli diedero del visionario. Ora, per nascondere la radicata cecità sul mondo, ci copriamo con quella della coscienza.
“Meditate che questo è stato”, imponeva Levi. Meditare è anche riconoscere che Hitler (come Mussolini) fu partorito e sostenuto da un colossale consenso popolare, che l’Olocausto non è stato opera sua e di dieci accoliti deliranti, ma di migliaia di persone (anche italiane) che ci hanno messo la convinzione e le mani. Il Giorno della Memoria illumina il passato per metterci in grado di decifrare alla sua luce il presente, l’individualismo e l’intolleranza, affinché non sia tutto lontano, vago o mascherato, come prima di Regeni era per noi l’Egitto, solo piramidi e resort e crociere.
Primo Levi ci disse ciò che non dovevamo scordare e insieme scolpì immagini che ora guardiamo come “altro da noi” al tg tra un antipasto e un sorso di vino: “Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì o per un no”. Niente se non la memoria ci avverte che nessuna società, nessun benessere, nessun potere, nessun muro, nessun nazionalismo esasperato, nessun leader (quasi nessuno oltre tutto ha studiato la Storia) ci garantisce immunità, nulla ci promette che non saremo un giorno, noi o i nostri figli, quegli uomini e quelle donne come rane d’inverno. Uscendo dai reticolati dei sepolti vivi ammoniva Levi: “Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via, / Coricandovi alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa, / La malattia vi impedisca, / I vostri nati torcano il viso da voi”.